Come un giorno l’umanità del Signore soggiacque alla morte e Gesù fu posto nel sepolcro nell’attesa della resurrezione, così vi sarà un tempo – sembra dall’Apocalisse – in cui sembrerà che anche la Chiesa sia venuta meno: sembrerà e sarà il momento più pauroso della storia del mondo.
Nietzsche stesso, quando ne parla nel libro La gaia scienza, sembra avere il terrore di questo vuoto che creerà nella coscienza degli uomini la morte di Dio; sembrerà che non vi sia cammino che porti a salvezza, sembrerà che la vita degli uomini sia abbandonata a se stessa, sembrerà davvero che gli uomini siano abbandonati all’assurdità, al non senso, sembrerà che più nulla dia loro certezza, luce e vita. Saranno due o tre giorni, ma saranno i giorni in cui il Cristo anche nella sua umanità storica riposò nel sepolcro; un tempo certamente molto breve, da quello che dice l’Apocalisse, ma tale da far sentire questo vuoto, sperimentare questo orrore, vivere questa angoscia.
Vi siamo giunti? Non lo so, non vogliamo essere profeti di cattivo augurio. Non si tratta di essere profeti, ma ci siamo giunti se dobbiamo constatare già questa impotenza della Chiesa, questo vuoto di Dio che sembra lasciare gli uomini nel terrore di una loro solitudine. Ci domandiamo intanto se veramente gli uomini lo avvertono: chi è Dio per gli uomini di oggi? Non dico questo per quanto riguarda coloro che sono lontani, lo domando per noi: chi è Dio per gli uomini di oggi, anche per coloro che dicono di credere? Davvero la nostra fede fa realmente presente Dio nella vita del mondo? La nostra fede fa realmente presente Dio nella nostra medesima vita? Quante volte noi stessi abbiamo l’impressione che la nostra fede sia soltanto un grido senza eco, quante volte anche a noi sembra che la fede stessa che noi possediamo sia soltanto un’esperienza di vuoto. Non è detto che l’esperienza di un abbandono di Dio implichi di per se l’abbandono di Dio; anzi, la rivelazione suprema di Dio nella vita del Cristo è la Sua Passione, quando Egli prega e Dio non l’ascolta, quando Egli grida: “Dio, Dio mio perché mi hai abbandonato”. Ed è il Figlio di Dio; tuttavia Egli volle provare nella sua esperienza umana questo senso di smarrimento, questo sgomento di un abbandono del Padre. Così può essere che anche i cristiani siano chiamati a vivere nella loro vita di fede questa esperienza di vuoto, di solitudine, di impotenza, di debolezza, di silenzio. Il silenzio di Dio!
E badate che questa esperienza non è affatto indice di una minore vita spirituale in coloro che credono; forse è anzi indice di una più alta esperienza religiosa perché via via che l’uomo ha una reale conoscenza di Dio tanto più è portato a non confondere i suoi sentimentucci umani e le sue piccole idee umane con Dio stesso. Non potrebbe mai credere che quelle idee che può farsi di Dio siano il segno reale di una sua Presenza.
Anche nella vita stessa dell’uomo, si ha proprio questa impressione studiando la spiritualità cristiana. In questi ultimi secoli i più grandi santi non hanno vissuto una mistica dei gusti divini come santa Teresa; hanno vissuto l’orrore del vuoto, hanno vissuto il senso dell’abbandono, lo smarrimento di una solitudine estrema. Sembra che Dio non si possa fare presente nel cuore dell’uomo e anche nel cuore del mondo se non in quanto scava nel cuore dell’uomo e del mondo un abisso che sia capace della sua divinità. Non vi è rapporto fra la creatura e il Creatore che l’aprirsi del nulla ad accogliere il tutto di Dio, ma per accoglierlo bisogna che questo vuoto si apra, cioè che la creatura sperimenti il suo vuoto, la sua debolezza, l’orrore della sua vita nella sua povertà estrema.
Siamo giunti a questo? È una domanda che mi facevo (…).
L’Apocalisse ci rivela che la Chiesa dovrà vivere come corpo mistico di Cristo Signore quello che ha vissuto l’umanità storica di Gesù; Gesù è passato attraverso un suo cammino di silenzio, di umiltà, con la vita pubblica in cui ha esercitato un suo reale potere, poi la passione, poi la morte, e poi finalmente la resurrezione e l’ascensione al cielo.
Quello che ha vissuto Gesù nella sua vita mortale dovrà viverlo la Chiesa, la quale altro non è che il Cristo, tutta l’umanità che si raccoglie nel suo corpo per vivere il suo stesso mistero (…). Ma a che punto noi siamo giunti di questo cammino che l’umanità deve percorrere, per partecipare al mistero stesso del Cristo? Si può pensare che l’umanità sia giunta davvero a quel punto in cui l’umanità di Gesù – terminata la vita pubblica – inizia la sua passione per entrare nel mistero della morte? Non lo so, dicevo, ma so che se noi avessimo iniziato questo cammino per entrare attraverso la passione nella morte del Cristo, noi dobbiamo aspettarci sempre di più che questo silenzio di Dio si faccia profondo e universale e in più dobbiamo aspettarci che il senso della nostra solitudine divenga sempre più paurosa e sembri anche a noi cristiani che il cristianesimo stesso non sia più che una favola e sembri realmente anche a noi cristiani che Dio non sia più che un’invenzione degli uomini e che non abbia un contenuto reale la nostra fede, che non abbia un contenuto reale la nostra speranza e che l’uomo non sia che una creatura di un giorno, che non viva che per la morte e per il nulla.
(…) Non siamo degli uomini che non vogliono accettare quello che sembra evidente: il vuoto di tutto. Noi dobbiamo farcele queste domande, miei cari figlioli, perché non dobbiamo stare con gli occhi chiusi. Se Giovanni nell’Apocalisse ci ha parlato è perché teniamo gli occhi aperti, non perché li teniamo chiusi, perché noi comprendiamo che Dio ci può chiamare attraverso questa esperienza, in modo che – avendocela annunciata di già – non debba distruggere la nostra fede e la nostra speranza ma faccia sì invece che la parola di Dio, la fede e la nostra speranza passino e vincano trascendendo questa solitudine paurosa in cui l’uomo si sente inghiottito come dal nulla.
Piccoli esercizi a Bagheria (PA), 27 novembre – 3 dicembre 1972