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Il richiamo dell’apostolo Paolo (cfr. Rom 13, 11-14) rimane oggi per noi non solo un invito, ma un comando pressante di Dio. È imminente la sua venuta. Che cosa è mai questa nostra vita quaggiù, che cosa è mai questa avventura cosmica di un mondo che abbia pure anche centinaia di millenni? Solo nella misura che riusciamo a realizzare la sproporzione che vi è fra il tempo e l’eternità, fra lo spazio e l’immensità divina siamo anime religiose. Il senso religioso della vita nasce dall’impotenza di adattarsi, di accettare di essere soltanto una creatura che nasce col tempo e col tempo muore, di essere soltanto una creatura che può avere, sì, una conoscenza, un’esperienza delle cose quaggiù, ma che proprio in quest’esperienza si esaurisca.

È religione anche la disperazione dell’uomo che non credendo, tuttavia non riesce né potrebbe mai accettare questa sua condizione puramente terrestre, puramente finita. Forse, miei cari fratelli, avremmo bisogno di sentire la disperazione di chi non ha fede, avremmo bisogno di sperimentare fino in fondo il senso dell’angoscia dell’uomo che si sente come sperduto e inghiottito dal nulla, per capire chi è Dio, per aprirci all’aspettazione di questo Dio che si annuncia come imminente per l’anima nostra. L’ateismo del mondo di oggi è una delle esperienze più grandi della vita religiosa del mondo. Si era fatto di Dio un giocattolo, un sopramobile per rendere un po’ più saporita la vita, ed ora in questo eclissarsi di Dio, in questo suo silenzio, l’uomo acquista il senso della sua solitudine e impara a non potersi più contentare di quello che è, e di quello che è il mondo quaggiù.

Anche a noi fa bene questo senso di un’assenza divina, di una solitudine umana, questo senso di angoscia che prende l’uomo che ha perso ogni fede in una trascendenza. Perché chi è stato Dio per noi, noi che dicevamo di credere?

Ho dovuto leggere in queste ultime settimane le opere di Pirandello, per lo meno molta parte di quello che ha scritto, soprattutto la sua narrativa, e debbo dirvi veramente che certe opere che sono puramente negative fanno meglio di tanti libri di teologia e di spiritualità perché c’è meno retorica, meno oratoria sacra. Ci si trova di fronte a un’esperienza del vuoto, a un’esperienza dell’angoscia, a un’esperienza di una disperazione senza fine. Di fronte a queste testimonianze l’uomo finalmente capisce chi dovrebbe essere Dio per lui.

Ci rendiamo conto che cosa attende il mondo oggi da noi; ci rendiamo conto che questo vuoto, quest’assenza siamo noi a doverla riempire, nella misura che noi diciamo di credere in Dio, nella misura che ci sentiamo chiamati ad essere testimoni dell’Assoluto. Il mondo attende dei santi! Siamo all’inizio dell’anno liturgico, per questo abbiamo voluto cantare il Veni Creator, perché il Signore ci suscitasse dal nulla, ci facesse grandi nel suo amore, ci riempisse di Sé, ci donasse la sua forza curatrice, perché nella nostra parola il mondo abbia di nuovo finalmente, il senso di un’assoluta presenza. Il mondo vi chiede la santità. Non avete il diritto di credere, rendetevene conto, se non volete essere santi. Nei confronti di un mondo che è nell’angoscia, che è nel vuoto, nella disperazione non avete il diritto di credere fintanto che non riempirete questo vuoto con la presenza divina, fintanto che non risponderete a quest’angoscia con la gioia immensa di un’anima che possiede Dio, fintanto che non rispondete a questa disperazione con la forza di una speranza curatrice che ridona al mondo di nuovo l’impulso a un cammino di vita, di amore, di gioia. Se noi crediamo e non rispondiamo a queste esigenze bestemmiamo Dio, siamo una menzogna nei confronti del mondo (…). Basta con la mediocrità. Lo dice san Paolo nella lettera di stamani: «È l’ora di sorgere dal sonno». È l’ora di svegliarci dalla nostra ignavia, è l’ora di renderci conto che il cristiano è stato mandato al mondo per essere la luce, per essere il sale. Vi deve essere una proporzione diretta fra la disperazione del mondo e la nostra speranza, fra l’angoscia del mondo e la nostra inesauribile gioia. Fintanto che non vi è questa proporzione noi siamo menzogna, il cristianesimo stesso è menzogna e sarebbe meglio allora che tutto fosse strappato via e non esistesse più nulla se non il pianto, se non l’angoscia, se non la solitudine di un mondo che ha perduto Dio; perché in fondo questa solitudine rende testimonianza a Dio più della nostra mediocrità.

Dobbiamo essere dei santi. A questo ci chiama la consacrazione che abbiamo fatto nella Comunità.

Adunanza del 3 dicembre 1967 a Firenze