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Il mondo è così vuoto di Dio! Gli uomini vagano in una tenebra spessa e non sanno dove andare. E noi viviamo vicino a loro e non ci rendiamo conto dell’angoscia che stringe la loro anima, non ci rendiamo conto del vuoto della loro vita.

Oggi piuttosto che contare le anime che conoscono il Signore, si potrebbero contare quelle che non lo conoscono, per le quali il Cristianesimo forse non è che un ammasso di superstizioni, una vaga speranza che essi non sanno giustificare. Essi vivono come nostri fratelli e non posseggono la ricchezza più grande della nostra anima: il Signore.

È soprattutto per renderci conto della nostra responsabilità verso di loro che viviamo l’Avvento, per renderci conto che dobbiamo essere noi la rivelazione di Cristo in un mondo pagano, che dobbiamo essere la luce del mondo, il sale della terra. E invece il Cristianesimo oggi sembra esser divenuto impotente a risanare l’umanità, sembra essere non più sorgente di calore, di vita, di luce, ma una vana reliquia di tempi passati. Nell’intimo dell’anima di tutti questi uomini è il pensiero, il timore che tutto sia finito e che nasca ora, per mezzo della scienza o della cultura, una nuova età; che tutto quel che i secoli passati ci hanno trasmesso siano sogni vani. Tutto sembra vuoto, solo un’angoscia profonda stringe le anime: il senso che né la tecnica né la filosofia né il benessere possano rispondere al desiderio del cuore. E allora gli uomini sognano una nuova religione “libera da miti”, come essi dicono, perché senza di essa sembra impossibile vivere quaggiù.

Di fronte allo smarrimento di questa moltitudine immensa (i veri cristiani sono oggi pochissimi anche fra noi) quanto più grave è la nostra responsabilità di messaggeri e testimoni di Cristo! Non possiamo essere contenti della nostra salvezza personale lasciando che questa massa si perda, non possiamo strapparci alla solidarietà che ci lega a loro. L’esser cristiani ci dà una responsabilità verso di loro, ci dà un compito immane: quello di rivelare a questi uomini Dio.

Noi siamo pochi e poveri, non siamo né geniali né potenti, siamo povera gente, umile gente. Che differenza vi è fra noi e i pescatori della Galilea? Ma proprio per questo deve ripetersi il miracolo di allora. Pochi, poveri e impotenti, noi dobbiamo essere la luce del mondo, la forza che lo solleva; altrimenti è segno che non crediamo neanche noi. Non abbiamo modo di salvare questo dono che ci è stato dato se non rivelandolo agli altri.

Venga dunque il Natale, e sia una nascita nuova di Gesù nel mondo, nella povertà e nell’umiltà delle nostre case e dei nostri cuori. Nasca il Signore in noi e si riveli al mondo: questa è la preghiera che oggi gli innalziamo. Chiediamo la santità, ma una santità che sia irradiazione di luce su tutta la creazione, non una santità che salvi noi soli e dia a noi soli la perfezione e la gioia. Se vogliamo una santità di questo genere Dio non ce la dona, perché non possiamo sottrarci dal compito di tutti coloro che hanno trovato il Signore: il compito di rivelarlo agli altri.

(…) S’impone una santità che, se deve esser proporzionata al bisogno del mondo, deve esser più grande di quella di tanti santi canonizzati, perché oggi è più grande il vuoto da colmare. I santi canonizzati in questi ultimi decenni, salvo pochi (santa Teresa del Bambin Gesù, il Curato d’Ars e pochi altri) non hanno dato al mondo l’impressione di una presenza divina. Il mondo non se n’è accorto. La nostra vita deve essere qualcosa di più. E il dir così non è presunzione da parte mia, perché io non considero voi ma il bisogno del mondo e la missione del cristiano.

(…) Questo è l’Avvento: impegno di essere noi quei santi, quei rivelatori di Cristo che il mondo aspetta e non vede.

Ritiro del 15 dicembre 1957 a Casa San Sergio (FI)