Miei cari fratelli, è la Pasqua, e la Pasqua è veramente il dono di Dio ad ogni anima che lo voglia accogliere in sé. Certo, per noi che viviamo nel tempo, un incontro reale con Dio può scuoterci fin nel profondo. Non siamo ancora adattati a questo incontro con la divinità.
È giusto che viviamo nella penombra della fede, perché il nostro organismo umano non reggerebbe all’incontro con la luce infinita, all’incontro con questo Dio che è un fuoco inconsunto e immenso. E per questo si dovrà vivere l’attesa nell’umiltà, nel silenzio; ma l’umiltà e il silenzio nel quale dobbiamo vivere è un silenzio pieno di speranza, è un silenzio sempre più desideroso dell’incontro finale.
(…) Vi ricordate il saluto che era proprio della Comunità agli inizi, quando la Comunità è stata fondata? «Ecco, il Signore viene!». «Amen! Vieni Signore Gesù!». Sono le parole del Vangelo a cui rispondono le ultime parole dell’Apocalisse (Mt 25, 6; Ap 22, 20). Sono le parole che dovrebbero essere l’espressione più viva della nostra vita cristiana, perché nella nostra vita cristiana dobbiamo sentire e sapere che Egli viene. Chi è Dio per noi se non «Colui che era, che è e che viene» (Ap 1, 8)?
«Ecco, il Signore viene»: ecco il saluto. E l’anima si apre alla venuta del Cristo in un desiderio vivo di amore: «Amen! Vieni Signore Gesù!». È la preghiera dei primi cristiani; e perché non dovrebbe essere la preghiera dei cristiani di oggi? Voi sapete come finiva la preghiera eucaristica della Didaché: «Venga la tua grazia e passi questo mondo». Finisca questa scena in cui viviamo soltanto un’attesa, in cui viviamo soltanto l’esperienza dell’esilio, di una lontananza da Colui che amiamo. Ma domani che festa sarà! Quando i nostri occhi si apriranno e lo vedranno, Lui che abbiamo atteso fin dalla nostra giovinezza, Lui al quale abbiamo donato tutta la vita. Quale festa sarà! Ma la festa è già cominciata, perché Egli già ora viene per noi: nell’umiltà, nel silenzio, Egli è presente (…).
Stasera noi abbiamo acceso il cero pasquale nella notte del tempo. E il cero si è alzato su di noi: «La luce di Cristo!» (Lumen Christi) abbiamo gridato e ci siamo prostrati, perché proprio nel cero abbiamo visto il simbolo di Lui, noi abbiamo contemplato e vissuto il nostro incontro con Cristo. Egli è venuto. È venuto come nel Cenacolo, è venuto come all’alba del giorno di Pasqua apparve alle pie donne. Secondo molti esegeti il Vangelo che si legge questa notte non sarebbe che la narrazione della prima apparizione di Gesù: quell’angelo vestito di bianco, seduto sul sepolcro, sarebbe Gesù, il Gesù imberbe delle catacombe. Il Gesù glorioso, il Gesù della Resurrezione non ha più la barba, è divenuto giovane della giovinezza dell’eternità. Così hanno rappresentato nelle catacombe il Cristo risorto e così lo vide la prima generazione cristiana.
Quando apparve ai discepoli, si presentò così come lo avevano conosciuto, ma le pie donne lo videro nella sua gloria, nella sua giovinezza, vestito di bianco, come trionfatore. Il bianco è il colore del trionfo, della vittoria. Lo videro trionfatore della morte e ne ebbero paura. Anche loro, povere donne, non avevano la possibilità di incontrarsi con questa gloria improvvisa che era balenata ai loro occhi. Ebbero paura e scapparono. Dovette poi il Signore adattarsi alla loro povertà e apparire come un viandante che andava per la sua strada quando si mostrò ai due discepoli (cfr. Lc 24, 15-16); dovette apparire come un ortolano a Maria di Magdala (cfr. Gv 20, 15)… Il Signore si adatta alla capacità povera che noi abbiamo di poterci incontrare col mondo divino.
(…) Chiediamo al Signore che egli si adatti anche con noi alla nostra povertà, perché se egli vuole entrare nella nostra vita, non debba spaventarci, non debba creare in noi un senso di smarrimento (…). Se Egli ci deve apparire, che Egli apparisca come sulle rive del lago invitandoci a mangiare quel pesce che Egli aveva fatto pescare, ma che aveva già pronto arrostito per la colazione dei suoi discepoli.
Oh! Che Egli ci prepari davvero il suo banchetto! Ce lo prepara stasera con la santa Messa. Non andremo noi tutti a fare la comunione? È il banchetto a cui Egli ci invita. (…). Accogliamolo in noi con umiltà vera! Accogliamolo in noi con fede profonda! E sia la nostra vita, da oggi in avanti, una continua comunione con Lui.
Omelia della notte di Pasqua, 2 aprile 1988, Triduo pasquale a Desenzano (BS))