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Tutto l’anno liturgico non fa che render presente il mistero della Morte e della Resurrezione di Cristo. La Messa è l’annuncio della morte e la vita della Chiesa è iniziazione a questo mistero e applicazione dei suoi frutti. Il Battesimo ci rende atti ad assistere e a partecipare al sacrificio di Gesù; tutti i sacramenti sono una grazia che ci fa partecipare al mistero di Cristo. Ma una grazia sola ci è concessa: quella di esser cristiani, di rinnovare e continuare in noi il suo mistero, il mistero dell’Incarnazione, della Morte e della Resurrezione di Gesù. Non c’è che una grazia e questa è lo stesso Gesù.

Ma questo dono come ci viene se non nel mistero della Morte e della Resurrezione dì Gesù? Quando Dio ci dona il Figlio suo unigenito se non quando Egli morì sulla croce? Ecco la manifestazione dell’amore di Dio per noi! Il testo seguente ci fa contemplare l’amore di Dio per noi nel mistero della Croce: «Noi abbiamo conosciuto la carità di Dio per noi perché Egli ha dato per noi la sua vita», dice san Giovanni (cfr. 1 Gv 3, 16). L’amore di Dio si manifesta nel sacrificio: quando Gesù è morto. La grande grazia, l’unica grazia, è la morte di Gesù, l’offerta del sangue del Signore, del suo Corpo immolato; del suo Sangue versato – della carne e del sangue – offerta continuamente fatta presente in tutti i tempi e in tutti i luoghi (…).

I giorni che stiamo per vivere sono di una grandezza unica in tutto l’anno. Si celebra un avvenimento che supera ogni avvenimento, una vittoria che eclissa ogni vittoria: tutto cessa perché la morte di Gesù tutto riassume in sé. Questi sono i giorni più santi: è mai possibile vivere altri avvenimenti? Se tutta la realtà, la storia altro non sono che la morte di Gesù, il cristiano è richiamato dalla Chiesa a vivere e a inserirsi nel mistero di Cristo. Questi sono giorni di veri esercizi spirituali; quando la Chiesa veramente viveva, viveva la liturgia di questi giorni. Cosa possono rappresentare certi esercizi spirituali in confronto a quello che ci insegna il mistero di Cristo? Dobbiamo dimenticar tutto, sottrarci ad ogni pensiero estraneo: come la vita del cielo è il consumarsi di questo mistero nella gloria, così anche noi dobbiamo vivere una vita di resurrezione nella morte di Gesù.

Questi giorni esigono che l’anima s’immerga, precipiti nel mistero di morte e di resurrezione che si celebra ora in un medesimo istante perché ora il mistero di Cristo è unico: è la morte e la resurrezione, non ci sono momenti diversi. Anche la liturgia di oggi (Domenica delle Palme) parla di morte e di resurrezione e questo anche il Venerdì Santo. La liturgia ha un senso eterno: ci pone sul piano di Dio, è morte e resurrezione, è assorbimento della natura umana di Gesù nella gloria del Padre. «Noi ti celebriamo, o Cristo, perché è per la tua Croce che la gioia è venuta in tutto il mondo»; il giorno di Pasqua, in cui tutto ritorna intimo, ha meno espressioni di gioia e di gloria che il Venerdì Santo, giorno in cui col canto degli inni Vexilla Regis prodeunt e Pange lingua gloriosi si dice il trionfo del Cristo vittorioso. Nel Cristianesimo non c’è morte senza resurrezione, non c’è sofferenza senza gloria: è l’immersione nell’eternità, dove tutto dura e si identifica. Dobbiamo vivere il mistero di Cristo uscendo dai nostri modi umani, viverlo come il mistero che tutto unisce e riassume in una pura, immensa unità. La Settimana Santa non è soltanto la meditazione del dolore di Gesù: non si deve dissociare la Morte di Cristo dalla sua Resurrezione. (…).

Vivere la Settimana Santa vuol dire precipitare in Dio, vivere nell’eternità, morti a noi stessi e a tutto per vivere unicamente in Dio e vivere in Lui la sua stessa vita. È così che noi partecipiamo alla Morte di Gesù e partecipiamo alla sua Resurrezione. Umiliazione ed esaltazione (vedi Epistola di oggi: Fil 2, 5-11). Sempre questo mistero parla di morte e di gloria, mistero unico, mistero dell’uomo e di Dio che importa umiliazione e gloria, morte e vita, uomo e Dio.

Usciamo dagli avvenimenti presenti, usciamo nella presenza di Dio! Viviamo lo stesso mistero di Cristo! Dobbiamo essere noi l’Agnello immolato nel cospetto della maestà divina, sull’altare sublime della gloria del Padre. Questa nostra partecipazione esige il raccoglimento se vogliamo veramente precipitare in questo mistero che la liturgia ci insegna a vivere nell’unità dei suoi elementi; nel Venerdì Santo vivremo l’unità di questo mistero nella Morte e nella Resurrezione. Il Giovedì Santo vivremo l’unità di Dio e degli uomini; il Sabato Santo, nel trionfo della Resurrezione, vivremo anche l’angoscia, l’attesa di tutta l’umanità che invoca l’adempimento delle promesse divine, il compimento del disegno di Dio nella Resurrezione di Gesù, che è già avvenuta e che pure deve sempre avvenire.

Comunità dei figli di Dio! La nostra dimora è il seno del Padre, la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Ecco la patria, la dimora, la gloria nostra.

Adunanza 6 aprile 1952 a Firenze