Noi in fondo siamo tentati in duplice modo: o ci abbandoniamo al facile entusiasmo di chi sempre più si sgancia dalla parola divina, sempre più si sgancia dal mistero del Cristo per una dissoluzione del mistero cristiano nella pura socialità, nella pura storia mondana ed è molto spesso la tentazione che prende i più oggi nella Chiesa. Ma un’altra tentazione, ugualmente pericolosa, sotto certi aspetti più pericolosa ancora, ci può sviare ed è la tentazione dello scoraggiamento, è la tentazione che sia in qualche modo irrevocabile, sia in qualche modo senza possibilità di soluzione questo slittamento verso un mondo sempre più ignaro di Dio, un mondo sempre più, se non ostile, indifferente al problema religioso e al Signore. Questa tentazione è anche più pericolosa ed è quella che può prendere noi della Comunità. Siamo abbastanza preservati, abbastanza difesi nei confronti della prima tentazione; tutta la nostra formazione infatti ci porta a difenderci contro una visione del cristianesimo che praticamente si risolve nella pura vita mondana. Ma noi non siamo preservati da essere tentati dallo scoraggiamento per l’inutilità dei nostri sforzi, non siamo preservati dalla tentazione di sentire come inevitabile, come irrevocabile, questo cammino che ci porta lontani da Dio, che sembra veramente sostituire a Dio un mondo profano, un mondo del tutto vuoto di ogni sacralità. Alcuni giorni fa un sacerdote mi diceva: «Ma lei ha fede? Ma sì, qualche volta mi domando se non è tutta una illusione il nostro cristianesimo (…). Non ci saremo noi stessi illusi? Noi stessi non abbiamo forse giocato di fantasia?».
La tentazione non è magari portata a questi estremi, ma, forse, non la sentiamo portata a questi estremi perché siano meno impegnati di tanti sacerdoti. Nella misura che uno è impegnato sente l’inutilità del suo sforzo, nella misura che uno è impegnato sente in fondo che il popolo è sordo; tutto quello che egli fa non gli dice più nulla. O tu ti metti sul suo piano, o se no tutto quello che fai è veramente olio sull’acqua, non ha più nessuna incidenza, più nessun potere. E allora è inevitabile che la tentazione ci prenda, ci stringa alla gola e sentiamo come se fossimo davvero dei fossili, come se fossimo davvero delle reliquie di un passato ormai morto. È proprio giusto per noi rimanere così legati a un passato che non risorgerà mai più? Ecco la tentazione che ci può prendere.
Rendiamoci conto: Dio è presente ed è vivo! (…) Credo proprio che s’imponga per noi non essere dei Geremia, non fare delle geremiadi, ma attendere con sicura fiducia il momento di Dio. Non soltanto però attenderlo, anche cercare di anticiparlo. In che modo? Attraverso il lavoro? No, perché tu senti benissimo che per quanto riguarda il lavoro, il lavoro diviene sempre più inutile, sempre meno incide, sempre più tutto quello che fai non ha peso, non tanto nel lavoro, quanto precisamente in quello che è stata sempre la nostra vocazione. Oggi tanto più s’impone che noi viviamo nell’esercizio di una fede che è tanto più grande quanto deve vincere l’assurdità del mondo, quanto più deve farci forti nei confronti di una tentazione che sembra insuperabile.
Noi dobbiamo essere anime di fede. Mai come oggi si poteva imporre questa fede, mai come oggi s’impone una speranza in Dio. Siamo in un mondo che è ostile, in un mondo che è indifferente, in un mondo che è vuoto di Dio. Ricordiamoci i dodici pescatori della Galilea: erano dodici che entravano nel mondo, vi entravano con la sicura certezza che tutto il mondo era fatto per Cristo: “Andate, predicate a tutte le genti, vi è stato dato ogni potere in cielo ed in terra”. Erano dodici uomini che non avevano fatto nemmeno le elementari e tanto meno le medie, e a loro ha confidato questa immensa missione. Essi non si sono turbati; sono entrati nel mondo. Non avevano mezzi, non avevano lingua, non avevano nessuna udienza. (…) Il fatto che questo mondo è totalmente estraneo al cristianesimo non toglie minimamente agli Apostoli questa fede generosa, questa fede viva, questa fede eroica che fa assumere loro il peso immenso di una missione universale di salvezza.
Proprio così noi dobbiamo vivere; proprio perché manca di più la fede nel mondo, tanto più dobbiamo irrobustirci noi in questa fede. Laddove manca l’amore aggiungi amore; se manca, dunque, fede nel mondo, in te deve essere ancora più grande questa fede. Dobbiamo reagire così.
Ritiro a Viareggio del 9 marzo 1970