Ecco quello che s’impone a noi in quanto apparteniamo alla Comunità dei figli di Dio: essere la presenza viva di Gesù in mezzo agli uomini, essere la testimonianza di Dio per gli uomini che lo hanno perduto. Noi dobbiamo essere questo, dunque non possiamo rinunziare ad essere santi; non si impone a noi che questo. Badate, se la Comunità vi avesse chiesto di fare le infermiere in un ospedale, di insegnare in una scuola cristiana, voi potevate pensare di rispondere alla vostra vocazione per il fatto che eravate dei buoni professori o delle buone infermiere, ma io non vi chiedo di essere delle infermiere, anche se lo siete: io vi chiedo di essere figli di Dio. Ut sitis filii Patris vestri, “affinché siate figli del vostro Padre che sta nei cieli”. Ed essere Figli vuol dire vivere come il Figlio per essere la manifestazione, la rivelazione della santità di Dio in mezzo agli uomini, la santità di Dio che è la purezza, la santità di Dio che è l’umiltà, la santità di Dio che è carità, che è luce. È questo che ci dice la preghiera che diciamo ogni giorno, ma noi non la diciamo mai, forse, come il programma stesso della nostra vita. “Tu sei l’umiltà e amore, Tu sei sapienza, Tu sei pazienza”: tutto quello che Dio è, tu devi esserlo, perché quello che il Padre è si rivela nel Figlio e tu sei il figlio nel quale Dio si vuol rivelare.

Miei cari fratelli, mie care figliole, ora certo sento più profondamente la mia responsabilità nei confronti della Chiesa e nei confronti di Dio, perché se Dio non si è stancato di me io debbo anche rendermi conto che non basta una qualunque virtù perché possa rispondere ai suoi disegni divini. Probabilmente Dio mi vuole un gran santo: non dico nemmeno un santo, ma un gran santo. Sono ben lontano dall’esserlo, ma non posso rifiutarmi dal volerlo divenire, non posso rifiutarmi di tendervi. Si impone una grande santità che sia veramente non solo esemplare, ma una forza che trascini il mondo, che ridoni al mondo la verità e la vita. Quando a tre anni volevo essere arcipapa, in fondo già il Signore mi chiamava a quello che anche oggi io sento: essere una guida per il mondo di oggi, essere una luce per il mondo di oggi, essere una forza per il mondo di oggi, e non posso rinunciarvi. Può sembrare megalomania questa: lo sarebbe se non sapessi fino in fondo quanto sono lontano da essere tutto quello che debbo essere, lo sarebbe se non fossi consapevole che non posso avere altra speranza che nella misericordia di Dio che mi ha sopportato finora e che, nonostante me stesso, ancora mi vuole, non mi ha tolto la vocazione che un giorno mi diede. Sento dunque la mia responsabilità verso di Dio, ma la sento anche nei vostri confronti. La sento perché quello che Dio vuole da me lo vuole anche da voi, e io non dovrei lasciarvi in pace fintanto che voi non sapete rispondere a questa voce divina; non dovrei lasciarvi nella vostra mediocrità, contente, soddisfatte di quello che avete fatto, di quello che fate. Dovrei essere uno stimolo sempre nel vostro fianco, una spina nel vostro fianco, come diceva Kierkegaard di sé, per impedire di riposare. Come il cavaliere con lo sprone stimola il cavallo alla corsa, così io sono vicino a voi.

Ritiro a Firenze, 23 aprile 1967