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Io credo che in fondo la vocazione di tutti noi sia molto grande anche se è semplice: è una vocazione monastica vissuta nel mondo, una vocazione a un monachesimo interiorizzato per adoperare il linguaggio dell’Evdokimov, il quale tenta, con questa parola, di definire quello che profeticamente Dostoevskij sentiva come la testimonianza che il cristianesimo avrebbe dovuto dare nei prossimi tempi all’umanità.

Mi ricordo quando io venni a Firenze che D. Mario Lupori, don Bartoletti, Meucci, mi chiamavano Alëša; poi, quando venne Antonio, io divenni lo Staretz e Antonio divenne Alëša. È significativo questo. Credo che questo nome dipendesse da un carisma che loro avevano, un carisma profetico nei confronti di quello che doveva essere veramente la mia funzione, la mia risposta a Dio, e la risposta anche della Comunità.

Voi avete presente I fratelli Karamazov. Il mondo dostoevskiano è il mondo del male. Tutta l’azione è sempre demoniaca, ma tutta l’azione del male è purificata dalla presenza dell’icona, che è il santo, il quale non agisce: c’è. Il monaco Tichon ne I demoni, Macario (lo Strannik, il pellegrino) ne L’Adolescente, ma soprattutto ne I fratellii Karamazov lo staretz Zosima, non entrano in medias res; sono al di fuori dell’azione del romanzo e tuttavia tutto quanto s’illumina della loro presenza. Lo stesso Alëša non agisce: raccoglie le confidenze di tutti e purifica. La sua presenza purifica Grušenka, una donna più o meno di malaffare, purifica Dimitri, purifica perfino Ivan, gelido, freddo nei confronti di Alëša. Ivan sente benissimo che non riesce a scalfire la limpidità di quest’anima, a introdurvi il dubbio, a distruggere la sua purezza. Anche se non vien convertito, rimane come paralizzato nei confronti della semplicità pura del fratello minore. Non agiscono i santi, sono, così come Dio.

Avete presente la ‘Leggenda del Grande Inquisitore’? Il Grande Inquisitore ha davanti Cristo, accusa il Cristo: “Noi finalmente abbiamo salvato gli uomini, mica tu! Abbiamo dato il pane. Tu hai rifiutato, tu hai caricato gli uomini di un peso intollerabile, che è la libertà. Bisogna togliere la libertà e dare agli uomini il modo di soddisfare i loro bisogni immediati”. E il Cristo che cosa fa? Tace. Ascolta l’accusa e rimane in silenzio. La risposta è la sua presenza silenziosa. Al termine di tutta l’accusa, che cosa fa il Cristo? Si avvicina al Grande Inquisitore e lo bacia, poi sparisce. È impressionante l’insegnamento che ci viene dai romanzi di Dostoevskij sulla funzione del bene o piuttosto la funzione del Cristo, perché Dostoevskij non crede al bene e non crede al male: crede in Cristo e a Maria. È veramente un cristiano che non ha trasformato la presenza attiva personale di Dio in un valore astratto che è il bene e il male.

La presenza del Cristo si fa visibile nei santi, prima in Sonia, la prostituta, poi meglio nell’Idiota (ma è sempre un po’ equivoca questa figura del Cristo, nonostante quello che dice Guardini) e finalmente poi invece nei veri santi: Macario, ne L’Adolescente, poi Tichon ne I demoni, finalmente, il più grande di tutti: lo staretz Zosima.

Cristo è presente ed opera. Opera con la sua presenza pura, con la sua presenza che è irraggiante, illuminante, purificante. E badate che questa potenza del bene, senza fare nulla, ha la capacità di sciogliere tutti i mali, di ridare la fiducia, la fede, la speranza anche al peccatore più indurito, purché non si rifiuti l’amore, purché l’uomo creda e si abbandoni.

Ora, ecco, qual è l’insegnamento? Come ci viene incontro la presenza del bene e del male? Cristo è vivente nei santi. Così la presenza del male è il Maligno presente e operante attraverso gli strumenti che sono gli uomini: il padre dei Karamazov, Piotr e Stavroghin ne I Demoni, Raskolnikov in Delitto e castigo, ma il male poi può purificarsi per la presenza di Sonia; anche Rogozin, Agafia, ecc. si purificano attraverso l’Idiota.

L’insegnamento che viene da Dostoevskij non è soltanto la presenza del Cristo nel monaco: l’insegnamento ultimo che egli ci dà – ed è veramente forse lo scrittore profetico più grande che abbia avuto la cristianità da secoli e secoli – è precisamente quello che ci dice per mezzo dei  Karamazov: lo staretz non vuole che il suo discepolo rimanga in convento. Nel monastero ci appare il monaco Ferapont, quel monaco tutto tetro del Medio Evo che vede il diavolo su tutte le porte, che ha schiacciato la coda al diavolo perché ha chiuso violentemente la porta, ecc.: un cristianesimo nero, senza speranza, un cristianesimo soltanto di orrore. Nel monastero vivevano questi uomini. Lo staretz manda invece il suo discepolo nel mondo: avanti che egli muoia Alëša deve lasciare il monastero, deve ritornare in mezzo ai suoi, rivedere la casa sua, deve rientrare non solo dal padre, ma deve entrare anche nella casa di Grušenka. Grušenka stessa si mette a sedere sulle ginocchia di Alëša, e Grušenka è salvata. Grušenka vuole portare Alëša nel peccato; con Rakitin, un seminarista scettico che aveva perduto la fede, aveva combinato per cercare di corrompere Alëša. Alëša va nella casa ed è lui che purifica Grušenka. Grušenka respinge Rakitin, respinge tutti gli altri ed è salvata. Salvata come può essere salvata lei: ritornerà da suo marito, non sarà più una donna di tutti.

Alëša entra in tutte le case e là dove entra purifica. E io ho l’impressione veramente che questa sia la nostra vocazione. Noi dobbiamo vivere nel mondo per essere testimoni viventi del Cristo, ma non possiamo essere testimoni del Cristo che precisamente operando come Egli ha operato. La luce non ha bisogno di far nulla per risplendere, per illuminare; basta che sia. E noi non dovremmo aver bisogno di nessuna opera nostra specifica perché di fatto la nostra testimonianza abbia una efficacia di sacrificio nel mondo. Dobbiamo rivelare Dio; è nel rivelare Dio che lo comunichiamo. Se Dio è Spirito, Dio ci santifica, Dio si comunica a noi precisamente in quanto si rivela. Di fatto noi possederemo Dio, saremo trasformati in Lui perché lo vedremo come Egli è. Saremo simili a Lui perché lo vedremo: “Similes Ei erimus, quoniam videbimus eum sicuti est”. La visione di Dio purificherà, la visione dei Santi purificherà. Quello che vi chiedo non è di fare, vi chiedo di essere. Quello che Dio ci chiede non è di operare; è di essere, di essere Lui. Veramente non possiamo contentarci finché non saremo trasformati in Lui.

Dobbiamo vivere la vita contemplativa nel mondo, una vita cioè in cui l’opera vera è l’esercizio delle virtù teologali, la contemplazione divina, l’Amore, in una speranza che vinca ogni scoraggiamento, che vinca e superi ogni audacia, ogni ardimento. Voi lo vedete: che cosa siamo? E che cosa il mondo che ci è stato affidato? Noi non possiamo separarci dal mondo avendone paura per rifugiarci in Dio, perché non è questo il modo per noi di possedere Dio. Il modo per noi di possedere Dio è veramente non fuggire Dio, ma certo nemmeno fuggire gli uomini; entrare nella pasta. Vivere in mezzo agli altri, come il Cristo. È stata la tentazione del Cristianesimo quella di poter vivere una vita contemplativa in una evasione dal mondo, in un’evasione dalla storia, in una evasione dal tempo e dalla creazione. La nostra vita contemplativa deve essere vissuta senza clausura, esser vissuta senza difese, nel mondo.

Noi stessi dobbiamo vedere Dio. Se lo vedremo non potremo non essere illuminati dalla sua luce e, se saremo illuminati dalla sua luce, a nostra volta noi illumineremo il mondo, come la luna. È uno dei simboli più costanti nella teologia spirituale sia dei monaci, sia dei Padri: Cristo è il sole e la Chiesa è la luna, ma la luna sono anche le anime. Perché quello che si dice della Chiesa si può dire di ogni anima; così se la Chiesa è la luna, rivestita della luce del sole, così anche ogni anima è rivestita della luce del sole. In questa notte che è la vita di fede (non è il giorno ancora, lo dice san Giovanni della Croce), Dio illumina gli uomini attraverso la luce riflessa dei santi. Dio non si rende visibile se non nei santi che sono rivestiti della sua luce. Essi non irraggiano una luce propria ma, rivestiti della luce di Dio, a loro volta illuminano il mondo. In questa notte del mondo in cui noi viviamo, noi dobbiamo essere questa luce che si irraggia e illumina, ma lo saremo se, come la luna, noi rifletteremo la luce del sole. Per riflettere la luce del sole bisogna essere in faccia al sole, come la luna. La terra non vede il sole, la terra è nell’ombra nei confronti del sole, il sole gli è nascosto nella notte, ma la luna non è nascosta al sole proprio perché la luna è in faccia al sole, la luna e rivestita dalla luce del sole e manda la luce a noi. Così il santo.

Pellegrinaggio a Monte Senario (Firenze), 20 agosto 1970