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L’amore implica la dimenticanza di sé, l’amore implica lo sparire. Chi vuol essere qualcuno, questi non ama; perché siamo soltanto nella misura che amiamo, e nella misura che amiamo ci doniamo, non siamo più per noi, siamo per gli altri. Di qui l’umiltà. Per essere chiari, si cresce nell’amore nella misura che si cresce nell’umiltà. Senza umiltà non vi è amore, perché anche se ci sembrerà di amare, noi faremo tutto soltanto per dire di aver fatto qualcosa e di essere qualcuno. Soltanto l’umiltà alimenta l’amore. Se noi non ci sapremo liberare progressivamente da ogni orgoglio interiore, da ogni vanità, da ogni amor proprio, da ogni desiderio di emergere, da ogni volontà di affermarci, noi non ameremo.

Anche quando diciamo di amare, il nostro amore non è vero perché anche attraverso quello che facciamo, diciamo noi stessi. Ecco perché dice san Paolo: «Se tu dai tutti i tuoi beni ai poveri, non giova a nulla» e vai all’inferno lo stesso. E quanti sono nella Chiesa che vanno all’inferno lo stesso, anche se fanno tante opere di carità, perché attraverso queste opere non vogliono altro che far risaltare il loro nome (…).

Non sono nemmeno le opere che si fanno che dimostrano la nostra carità, ma l’umiltà vera che noi abbiamo. Senza l’umiltà l’amore non esiste, perché l’amore implica sempre il metterci noi a servizio dell’altro, il vivere noi ordinandoci all’altro; non ordinare l’altro a noi, non ordinare tutto quello che facciamo alla nostra gloria, alla nostra fama, ma far tutto e non chiedere nulla per sé, perché questo è l’amore, la dimenticanza di sé. «Mi dimentico talmente di me, che non so più nemmeno se esisto», diceva santa Teresa. Ecco la vera espressione della carità.

La carità esige umiltà; tanto sapremo amare, quanto sapremo essere umili; ecco la prima esigenza. La seconda esigenza è la liberazione dalla concupiscenza. Il cercare il nostro piacere, il volere il nostro godimento fa sì che noi, senza rendercene conto, strumentalizziamo le altre cose a noi, per cui siamo noi che vogliamo qualcosa, non siamo noi che ci doniamo. L’umiltà e la purezza sono sempre la nota fondamentale dell’amore. Là dove non c’è l’umiltà, là dove non c’è la purezza non c’è amore.

Ecco perché l’amore cristiano, anche nel matrimonio, esige la monogamia, esige la fedeltà a un’unica sposa, esige che proprio nel matrimonio si possa vivere questa liberazione da tutte le tentazioni che possono sorgere e che ci fanno sbandare, che ci portano lontano, che intristiscono anche l’amore. Tante volte, perché tanti matrimoni non reggono più? Perché sotto sotto o il marito o la moglie hanno altri amoretti, perché sorgono certi altri amori, oltre l’amore consacrato da Dio. E questo anche quando non si può dire che ci sia peccato; ma è sempre come un deposito che perde l’acqua, perché cede da ogni parte. L’amore non c’è più, e pian piano la famiglia intristisce e invece di essere una chiesa domestica – espressione stessa di una comunità cristiana in cui regna l’amore -, diviene soltanto una pensione dove il marito va a dormire e ci va perché ci trova una donna che gli fa da mangiare, ma il suo cuore e l’anima sua vivono altrove. Quante volte tutto questo avviene oggi! Perché anche qui non sappiamo essere casti. Anche l’amore esige la castità, perché esige una fedeltà all’unica persona alla quale ti sei donato e ti sei donato per sempre.

Umiltà e castità, ecco le note vere dell’amore. Là dove non ci sono queste due virtù non c’è nemmeno l’amore. Che cresca in noi questa umiltà, che cresca in noi sempre più anche questa castità, questa libertà da ogni istinto, per vivere davvero l’ordinarsi nostro a quelli che amiamo, il vivere noi per gli altri; non volere che gli altri vivano per noi.

La nostra gioia è quella di poterci donare, è quella di poter vivere noi per coloro che amiamo.

Esercizi spirituali a Chiusi della Verna, 3-10 agosto 1980