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Peccato e misericordia

Una delle pagine più belle che abbia mai scritto il Papa Giovanni Paolo II è sulla misericordia di Dio; la parte finale della enciclica Dives in misericordia è una visione terrificante della situazione del mondo… Però, al termine, una pagina magnifica di speranza, perché se è grandissimo il peccato dell’uomo, la misericordia di Dio è infinita. Noi dobbiamo sperare, non ‘possiamo’, ma ‘dobbiamo’ sperare nella salvezza del mondo, anche se ci sembra che le nostre possibilità siano nulle.

Sì, le nostre sono nulle, ma le possibilità di Dio sono infinite e io debbo sperare nella salvezza. Non posso condannare nessuno: se condanno anche una che ha abortito cinque volte, vado io all’inferno, perché io non posso condannare. Colui che solo condanna è anche Colui che prima di tutto è misericordia. Certo suppone il tuo pentimento, perché non può riceverti se non ti apri ad accogliere il dono divino, però io debbo sperare, e in me la speranza deve crescere. Anche di fronte all’abisso del male che si è rovesciato sul mondo la mia speranza deve crescere; non possiamo essere pessimisti. Dio è il salvatore, se no che cosa sarebbe valso morire su una croce se noi dovessimo essere tutti dannati? E se noi guardiamo intorno a noi, sembra che non vi sia che peccato, immoralità, incredulità… Ma più grande di ogni peccato è l’infinita misericordia divina.

Noi dobbiamo sperare. E tanto più è vera la speranza quanto più essa è priva di motivi umani, il che è come dire che solo il disperato può veramente sperare. Fintanto che tu hai un grosso conto in banca, speri nei soldi, poi speri nella tua salute per potere dare gli esami, speri di avere una buona moglie, e poi in una vita lunga, ecc., ma fintanto che speriamo queste cose non si spera in Dio. È quando ci mancano tutte queste cose che la nostra speranza è vera. E di fronte alla visione terrificante di un mondo che sembra precipitare nel vuoto, deve crescere la speranza nella Chiesa, perché Dio ha voluto la Chiesa per salvare il mondo, non per far bella figura. Dio l’ha voluta perché la Chiesa deve salvare questo mondo, deve operare la salvezza (…).

Eppure diviene sempre più difficile credere. Fintanto che l’uomo era al centro della creazione e la terra il centro dell’universo, era più facile credere che Lui potesse anche farsi uomo, visto che l’uomo valeva qualche cosa. Ma via via che si è proceduto col pensiero, che cosa è diventato non dico l’uomo, ma la storia, la terra, il sistema solare? Eppure io debbo credere che Nostro Signore debba conoscere anche me, pover’uomo. Dio mi conosce e mi ama, Dio che è l’Infinito, Dio che è il creatore degli astri. Credere diviene sempre più difficile, ma è una cosa bella che si debba crescere e sapere che la fede rimane un dono di Dio. Così la speranza. Si va sulla luna, ma intanto non sappiamo nemmeno se fra cinquant’anni l’atmosfera sarà tale da consentire di respirare in santa pace senza restare avvelenati. Tutto sembra crollare intorno a me e poi la morte, e poi il peccato: dov’è per me la possibilità di sperare? Questo peccato che inonda, che allaga la terra, e poi la morte… come faccio a sperare? È proprio per questo che debbo sperare, perché mi manca tutto.

In un apologo buddhista si narra di uno che, precipitando in un burrone, riesce ad aggrapparsi alla radice di un albero e, mentre è lì sospeso sul baratro, vede due topi che rosicchiano la radice. Tale e quale sono io, ma so che le mani di Dio mi tengono su. La radice può essere anche rosicchiata, ma è Lui che mi regge: ecco la speranza, Lui che mi regge, però non vedi le radici. È una speranza che sembra, umanamente parlando, nulla, perché ti devi fidare di un Dio che tace, di un Dio che sembra irreale. Eppure la tua speranza è tanto più vera, quanto più ti mancano motivi umani, perché allora la tua speranza poggia unicamente su Dio.

Ritiro a Casa San Sergio (FI), 12 giugno 1988