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Dice l’Apostolo Paolo: «Risorgendo da morte Cristo non muore più, la morte non l’ha più in suo dominio» (Rom 6,9) e allora noi viviamo e non possiamo vivere altro che la sua resurrezione.

(…) L’insegnamento è preciso, semplice: noi viviamo nel cielo. Sì, col nostro corpo mortale, nella nostra esperienza sensibile, noi non differiamo dagli altri che non credono; anche noi viviamo, per quanto riguarda la nostra esperienza sensibile, la nostra vita biologica, la vita psicologica, noi in tutto viviamo la vita dei nostri fratelli che non credono. Ma in quanto siamo mediante la fede in un rapporto reale col Cristo risorto, tutto questo  implica per noi che viviamo anche in un altro mondo. Viviamo già nel cielo, come ci ha detto la seconda lettura: noi siamo morti e la nostra vera vita è nascosta con Cristo (cf. Col 3,3). Ecco la nostra vera patria, ecco il vero luogo nel quale noi già dimoriamo, ecco la nostra vera vita, perché questa vita puramente sensibile è qualcosa che si aggiunge a noi, non è la nostra vita più profonda e più vera. La nostra vita più profonda e più vera è la nostra comunione con Lui perché se noi di fatto viviamo già nella fede, nella speranza e nella carità un rapporto con Dio, nel Cristo risorto la nostra vita vera è nascosta col Cristo in Dio. Noi dobbiamo prendere coscienza di questo grande mistero per essere anche consapevoli che la nostra vita non si identifica, e tanto meno si conclude, con la pura esperienza sensibile. Non per nulla, ce lo dice più volte Giovanni nel Vangelo (cap. VI) e nella sua lettera, noi possediamo già la vita eterna e oggi san Paolo ci dice che siamo risorti col Cristo e con Lui viviamo nel seno del Padre.

O, miei cari fratelli, se noi veramente in una fede viva vivessimo quello che abbiamo sentito e proclamato stamani alla Messa, noi vivremmo già la comunione dei santi, noi vivremmo già in comunione con gli angeli e coi santi, la nostra vera vita non sarebbe più un vivere in un luogo o vivere in un tempo; sarebbe vivere nell’immensità divina e già noi viviamo questa dimensione, non a San Sergio o a San Lazzaro di Savena, ma in seno al Padre. Ovunque noi siamo, noi siamo in Dio. L’essere in Dio vuol dire non essere conclusi, perché Egli è infinito; ovunque io sono mi sento dilatato nella divina immensità, nulla più mi imprigiona, non mi sento più prigioniero del tempo né dello spazio. La mia vita è in Colui che al di là del tempo e dello spazio è la pura eternità dell’amore.

(…) La risurrezione non è un mistero che riguarda soltanto Gesù. Se Egli si è fatto uno con tutti gli uomini nella morte di croce, questa unità con tutti rimane anche con la sua risurrezione e, rimanendo nella sua resurrezione questa unità con tutti, noi tutti con Lui   siamo risorti, noi tutti con Lui viviamo nel seno del Padre, noi tutti con Lui siamo già glorificati, viviamo la sua eternità, possediamo la vita eterna. Miei cari fratelli, non lasciamoci irretire dall’esperienza soltanto umana, dalle nostre prove, dalle nostre difficoltà, dalle nostre malattie: non lasciamoci paralizzare da tutto questo. Dobbiamo trascenderlo perché nella fede, nella speranza e nella carità noi viviamo oltre tutto quello che è legato a questo povero mondo.

Se viviamo in questo mondo, è perché vivendo in comunione fra noi si cresca nell’amore e, crescendo nell’amore, possiamo gli uni e gli altri sempre più inserirci in Colui che è l’amore vivente. Perché se il mio rapporto con voi mi staccasse da Dio o staccasse voi da Dio, sarebbe la più grande disgrazia che potesse capitarci; l’amore umano non può avere altro fine e altro prezzo che quello di essere una propedeutica, una preparazione, una iniziazione sempre più grande al vivere in questo abisso di luce, in questo abisso di amore, nel seno del Padre. Questa è la vera patria che non abbiamo bisogno di cercare, perché vi siamo già. Egli è con noi, noi siamo con Lui: il Cristo è risorto.

Omelia del 30 marzo 1986, Triduo Pasquale a Desenzano (BS)