Nella vita spirituale non basta la docilità. La docilità è propria del giovane, poi viene il puro, il pieno abbandono. Vedete il bambino? Il bambino si abbandona nelle braccia della mamma e dorme: lascia fare alla mamma.
È questo il cammino dell’anima. Giunta ad un certo grado della vita spirituale, l’anima non conosce più la volontà divina come una volontà estranea alla sua, non conosce più la volontà divina come la volontà di un Altro che ama, non conosce che questa volontà, non ha più altra volontà che quella di Dio. Era già ritornata nella casa paterna con la docilità, faceva già parte della famiglia di Dio; con l’abbandono non è più ritornata soltanto nella casa di Dio, ella vive nelle sue braccia. La mano nella mano, ella è condotta da Dio, come un bambino. «Nisi conversi fueritis et efficiamini sicut parvuli non intrabitis in Regnum coelorum» (Mt 18, 3). Se volete sapere quello che il bambino pensa, quello che ama, domandatelo alla mamma. Fate una domanda al bambino e il bambino farà la stessa domanda alla mamma perché, in quello che dice, sia la mamma a rispondere. Non ha un suo pensiero come non ha una sua volontà. Il pensiero, la volontà del bambino è il pensiero, la volontà della sua mamma.
Così l’anima: non ha altro pensiero che il pensiero di Dio. Solo la fede la guida, perché il pensiero di Dio è la fede: questa sola è la lampada che l’accompagna nel cammino: «Lucerna pedibus meis verbum tuum» (Salmo 118 [119], 105). Non ha altra volontà che la volontà di Dio. L’atto della sua volontà è soltanto l’amore ed essa non ha nel suo cuore altro amore che quello di Dio. Non soltanto l’anima ama Dio, ma in lei vive soltanto il suo amore, vive soltanto Dio, non vive che Lui. Non ha altri piaceri, non altre ricerche, altre aspirazioni, altra gioia che quella di Dio. L’anima perfetta non conosce altra gioia, altro riposo che Dio: Dio solo è la sua gioia, la sua pace, Dio solo la sua vita.
Togliete al bambino la mamma, gli togliete tutto. Così all’anima perfetta: le togliete Dio, le togliete ogni cosa. «Nisi conversi fueritis». La perfezione dell’anima è lo stato d’infanzia. No, c’è un grado anche più alto. Bisogna non essere: non esser nati, essere ancora nel seno della mamma. Ed è questa la perfezione del cristiano: esser nascosti nel seno di Dio. Non soltanto vivere di abbandono, ma essere come scomparsi, perduti nel seno del Padre: «in sinu Patris».
E tuttavia come il bambino rimane distinto dalla madre, così l’anima da Dio.
Ma è precisamente questo il mistero che noi dobbiamo vivere, il luogo dove noi dobbiamo dimorare per sempre. Dalla “regione della dissimilitudine” siamo finalmente ritornati nella patria, siamo già accolti nella casa del Padre: ora dobbiamo riposare sul suo cuore. Non basta: non soltanto stretti fra le sue braccia, ma nascosti per sempre nel suo seno. La nostra anima deve essere «nascosta con Cristo in Dio» (Col 3, 3).
Il Figlio di Dio vive nel seno del Padre: «Unigenitus Filius qui est in sinu Patris» (Gv 1, 18) dice l’apostolo Giovanni. Noi siamo figli se, col Figlio unigenito, viviamo nel seno di Dio. La nostra vita, il nostro cammino deve tendere a questa meta che è l’ultima: il seno del Padre. Ma è possibile – diceva Nicodemo – che un uomo vecchio possa ritornare nel seno di sua madre e rinascere? È questo, invece, che opera la vita cristiana. Anche se abbiamo i capelli bianchi, bisogna ritornare bambini, bisogna ritornare nel seno di Dio, nascosti per sempre nel seno del Padre. Questo è il termine del nostro cammino.
La via del ritorno, Nuova edizione San Paolo, pp. 69-71