(…) Che cos’è il monachesimo? Ecco la prima cosa da domandarsi. È un movimento di vita spirituale che radicalizza le esigenze proprie di una vita di unione con Dio, radicalizza la vocazione cristiana, in quanto la vocazione cristiana prima di tutto importa non tanto una missione di salvezza nei confronti del mondo, quanto piuttosto il riconoscimento della nostra dignità filiale nei confronti di Dio. Di qui deriva il fatto che quel che soprattutto vogliamo noi della Comunità è attestare il primato di Dio, perciò il primato della preghiera, perciò il primato delle virtù teologali.

Tutto questo è proprio essenzialmente della spiritualità monastica. Il monaco è il testimone di Dio nel mondo. Altri invece, nella Chiesa, vivono soprattutto il rapporto con gli uomini nel servizio sociale, nel servizio di carità. Noi non escludiamo questo, intendiamoci, perché escludere la carità del prossimo vorrebbe dire non essere cristiani, dal momento che Gesù ha detto: «Da questo vi riconosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete l’un l’altro» (Gv 13, 35). Però l’amore del prossimo non immediatamente e necessariamente ci impegna a un servizio di carattere sociale e nemmeno alla carità attiva di per sé, perché se l’amore del prossimo necessariamente impegnasse a un servizio sociale e a una carità attiva, vorrebbe dire che la carità del prossimo finisce con la vita presente, perché in paradiso non c’è bisogno né di servizio sociale né di vita attiva. La carità del prossimo prima di tutto ci impegna a vivere l’unità dell’amore, ed è per questo che il monachesimo non solo ha vissuto il primato di Dio, ma ha vissuto questo primato di Dio nella realizzazione della comunità (…).

Un’altra cosa da notare è questa: il monachesimo di fatto radicalizza, cioè porta alle ultime conseguenze quella che è la spiritualità del Vangelo. Però dobbiamo anche dire che è il movimento religioso che, sotto certi aspetti, maggiormente si configura come movimento universale: ci sono monaci buddhisti, ci sono le confraternite dei Sufi nell’Islam; c’erano dei monaci anche prima del Cristo a Qumran; ci sono monaci anche in tante altre religioni e nell’Induismo stesso. Il monachesimo, dunque, è una esigenza universale dell’anima religiosa, la quale vive quaggiù nel mondo, ma vive nel mondo la sua vocazione escatologica, cioè la ricerca di Dio, la ricerca dall’Assoluto.

(…) Nel Cristianesimo, quando è nato veramente il monachesimo? Possiamo dire che è nato già al tempo degli apostoli; non il monachesimo ufficiale, ma quella vita religiosa che già era un monachesimo interiorizzato, perché era un monachesimo vissuto nel mondo. Notate bene la cosa importante: quando il Cristianesimo era combattuto dal mondo, quando il Cristianesimo era perseguitato, non era necessario andare nel deserto per vivere la ricerca di Dio. Allora si viveva questo spirito monastico da parte dei cristiani che, pur vivendo nel mondo, non erano del mondo e sentivano di non essere del mondo perché il mondo li perseguitava. Perciò vi era un monachesimo interiorizzato prima di quello istituzionale.

Quando è nato il monachesimo istituzionale? Quando il Cristianesimo e il mondo sono divenuti quasi una sola cosa: con la vittoria costantiniana, quando l’Impero Romano si è convertito al Cristianesimo, il Cristianesimo è diventato la religione di Stato e allora, per assicurare la radicalità di una ricerca di Dio, i veri cristiani hanno lasciato il mondo.

Ed ecco ora la cosa grande, grandissima: non c’è più necessità del monachesimo istituzionale perché oggi il mondo è contro il Cristianesimo. Il Cristianesimo ora è rigettato dal mondo; noi siamo oggi come all’epoca dei primi cristiani: il mondo non ci conosce più, ci rigetta, siamo degli emarginati nel mondo di oggi. Che bellezza! Questo è il vero Cristianesimo; come dobbiamo essere contenti! Ora infatti possiamo e dobbiamo vivere il monachesimo nel mondo, perché ora sentiamo di non essere del mondo. (…) Questo è importante per far capire come è necessario oggi che il cristiano si renda conto che non può essere veramente fedele al Cristianesimo che in quanto vive una spiritualità monastica. Mentre la spiritualità monastica in un mondo sacrale, come è stato il nostro fino a pochi decenni fa, esigeva che chi voleva vivere il monachesimo si separasse dal mondo per rifugiarsi nel deserto o in una abbazia e vivere nella povertà, nella castità e nell’obbedienza. Ora basta vivere il nostro Cristianesimo dove siamo, perché là rimaniamo sempre, non dico degli emarginati, ma degli isolati, e questo è bellissimo! Non è molto comodo, intendiamoci, ma è una cosa di bellezza estrema, ed è questo che dobbiamo vivere.

Adunanza a Firenze, 4 novembre 1984