La nostra vita religiosa è manifestazione di falsità e di ipocrisia. Si deve aggiungere che è soprattutto nella nostra vita religiosa che noi siamo ipocriti: molto spesso all’atto della nostra vita religiosa non risponde nulla. Ed è proprio per questa ragione che il mondo ci rifiuta. Non è soltanto perché la vita religiosa – come molti di loro dicono – non è efficiente, non opera nulla; è perché non realizza nulla per Colui stesso che la vive. Viviamo realmente un rapporto con Dio? Usciamo veramente di noi stessi? Non è dunque allora molto meglio andarsene a spasso e mangiare dei gelati piuttosto che dire l’ufficio e fare la meditazione?
Molto spesso la vita religiosa non solo è vuota e inutile ma rischia di compromettere l’autenticità della nostra vita umana. Il rifiuto di molti ad essere religiosi ha un suo fondamento, non giusto in sé oggettivamente, ma giusto perché è reazione alla nostra vita religiosa che non e autentica, reazione di una umanità concreta a una vita in cui invece la stessa nostra umanità viene disciolta, viene dissipata, viene sciupata. Come più nobile, molto spesso, è la vita di chi non vive e non vuole vivere una vita religiosa: non in quanto va contro Dio (almeno direttamente), ma in quanto va contro i cristiani, contro le anime religiose. E come questa reazione e questo rifiuto da parte di tanti di vivere una vita religiosa non solo è un rimprovero ai cristiani, ma è testimonianza a rovescio, ma più efficace, della stessa vita religiosa di coloro che si professano credenti. Forse è testimonianza più vera e autentica la loro che la nostra, e pertanto glorifica Dio più la loro che la nostra vita.
Per questo dobbiamo applaudire gli atei? Non voglio subito dire di no. Ma anche se non dobbiamo arrivare ad applaudire gli atei, dobbiamo accusare i cristiani e accusare soprattutto noi stessi. Molto spesso del peccato dell’ateismo colpevoli sono i cristiani, anzi soprattutto i cristiani, anzi soltanto i cristiani. Dico soltanto i cristiani.
Chi conosce Dio e non è santo è sempre un ipocrita, assolutamente un ipocrita e soltanto un ipocrita.
Vivere un rapporto con Dio dovrebbe impegnare talmente tutto il nostro spirito, tutto l’essere nostro da dare alla nostra vita non solo un contenuto di grandezza, ma un tale splendore, una tale luminosità da essere noi il segno di una Divina Presenza. Nessuno potrebbe negare Dio se ci fosse un cristiano vivo, perché un cristiano vivo è per gli uomini già segno inconfutabile di Dio, garantisce gli uomini di una sua presenza viva. Non per quello che egli fa: per il fatto che è, perché anche Dio non fa nulla, Egli è. E così il cristiano non è soltanto grande per quello che fa, quanto per il fatto che realizzando la sua vocazione diviene segno di Dio.
È partendo dalla posizione del mondo moderno nei confronti della religione che dovremo rivedere la nostra stessa vita religiosa. È giusto. Oltre tutto saremmo già dei dannati se non ci rendessimo conto che ogni persona che vive in questo mondo pone un problema all’uomo. Non solo siamo interpellati da Dio attraverso la Scrittura e gli avvenimenti; siamo interpellati da chiunque vive con noi: dagli atei, dagli assassini, da chiunque.
Perché il cristiano non è solidale con tutto il mondo, ma ha la missione per tutto il mondo di essere il Cristo. Cioè la relazione che passa fra l’uomo e Dio (ed è necessaria) è la relazione che passa in concreto fra gli uomini e i credenti, fra tutti gli uomini e me che sono cristiano, fra tutto il mondo moderno e me che sono il testimone di Dio. Io non posso leggere nessuno scritto di un ateo – letterato, filosofo – senza sentirmi personalmente interpellato. Non lo condanna Dio; è Lui che condanna me, perché se condanno, io già per questo medesimo fatto non sono più cristiano. Non siamo chiamati a condannare nessuno. Ma qualunque posizione degli altri é di fatto una domanda che ti si fa, è un problema che ti si pone. Siamo veramente interpellati da tutto.
Dicevamo che si deve partire dalla posizione dell’uomo moderno nei confronti della religione. Intanto si pone questo: l’uomo moderno, anche quello che vuol rimanere cristiano, è essenzialmente portato all’opposizione alla religione. Questo è vero per tutto il protestantesimo, ma anche per tutta la cattolicità. Non possiamo negare, per esempio, che qui in Italia ci sono circa cinquantadue milioni di battezzati. Non c’è in tutti loro, una segreta polemica nei confronti dei preti, dei frati, della curia romana, del Papa? E non perché sono atei: perché sono cristiani. A meno che non vogliate dire che tutta questa gente – che non è battezzata veramente e consapevolmente – con piena responsabilità voglia opporsi a Dio. È troppo comodo per chi vuol rappresentare Dio il condannare tutti gli altri. Ma quando si condannano gli altri, già siamo condannati noi stessi, perché nessuno ci autorizza a condannare. Io non posso condannare né Mao, né Marcuse. Se tu lo condanni, già sei fuori del Cristianesimo. Nessuno ti ha dato l’autorizzazione a condannare. Metterti al posto di Dio è per te la condanna all’inferno, perché finché vivi sei chiamato a salvare e non a condannare nessuno dei fratelli”.
Esercizi spirituali a Villazzano (Trento), 12 agosto 1968