La legge cristiana, i comandamenti di Dio, i precetti della Chiesa, tutti si adempiono nel fatto stesso che abbiamo la gioia cristiana, la gioia che deriva dal possesso di Dio, la gioia che deriva dal fatto che non soltanto siamo amati e crediamo all’amore, ma a quest’amore rispondiamo donandoci totalmente al Signore. «Beati»: ecco la prima parola che Gesù ha detto nel Sermone della Montagna (cfr. Mt 5, 2).
La gioia è un dovere per il cristiano. E infatti le Beatitudini nel Vangelo di san Matteo rispondono al Decalogo del Libro dell’Esodo. La prima alleanza fatta fra Dio e il popolo di Israele veniva ratificata nel dono della Legge e nell’accettazione da parte d’Israele di questa divina volontà. Il dono della Legge, anche oggi, per l’Ebraismo è tutto: il Decalogo. È questo che distingue la grandezza dell’elezione d’Israele; Dio ha parlato ad Israele, gli ha proclamato la sua volontà. La Nuova Alleanza ugualmente inizia con la legge, ma la legge della Nuova Alleanza sono le Beatitudini.
Al dono della Legge nell’Esodo rispondono le Beatitudini nel Nuovo Testamento. Ora, se vi è una rispondenza fra il Decalogo e le Beatitudini, noi comprendiamo come effettivamente l’unica legge del cristiano non può essere che la gioia, dal momento che tutte le Beatitudini iniziano sempre con la stessa parola. Dobbiamo essere beati perché poveri, dobbiamo essere beati perché miti, dobbiamo essere beati perché puri di cuore, perseguitati: comunque, sempre beati.
Come nell’Antico Testamento la legge era una legge negativa – iniziava sempre col «Non fare» (Non uccidere, non ammazzare, non fare adulterio, non desiderare) -, nel Nuovo Testamento è «Fare». È fare il massimo, perché la vita di ogni essere creato trova il suo compimento, trova la sua perfezione nella beatitudine. Quello che il Cristianesimo ti impone non è soltanto di essere perfetto, ma di essere beato nella tua perfezione, perché precisamente la perfezione non può essere distinta dalla tua felicità. Ecco dunque la legge cristiana: l’essere contenti, l’esser beati. Ma giustamente la beatitudine suppone la perfezione, e la perfezione che cos’è? È la presenza di Dio nel tuo cuore, è il vivere la vita stessa di Dio: e Dio si dona a ciascuno. Che l’anima divenga consapevole di questo dono che ha ricevuto: nella misura che ne sarà consapevole, nella misura che veramente crederà in questo dono, nella stessa misura avrà la percezione vera, sperimentale, di questo possesso nella sua gioia.
Non vi lasciate affascinare dalle cose. Noi tutti siamo di fronte alle cose umane come gli antichi di fronte alla Medusa: rimanevano pietrificati. E noi stessi rimaniamo pietrificati e non abbiamo più la capacità di credere, di andare fino a Dio, di realizzare che nulla e nessuno potrebbe mai toglierci quella che è la massima nostra ricchezza, questa presenza di Dio nel nostro medesimo cuore. Non ti turbare per nulla: renditi conto che ogni turbamento, ogni ansietà in fondo dipende da questa paralisi che operano le cose in te. Le cose hanno un potere affascinatore; non soltanto ti strappano a Dio, ma ti paralizzano, ti impediscono di accedere a Lui, ti impediscono di avere una vera esperienza di quella che è la tua vera ricchezza, Dio stesso. Qualunque cosa avvenisse, se c’è qualche cosa in noi che non va, tanto meglio! Non dobbiamo legare la nostra felicità, la nostra pace a noi stessi, ma a qualche cosa che è al di là di tutto quello che il tempo rode, come dice il Vangelo, e che le creature ci possono rapire (cfr. Mt 6, 19).
Dal Ritiro del 1° Novembre 1962 a Palermo