La carità fraterna ci renda meno suscettibili fra noi, permetta di correggerci a vicenda, di dirci le cose con chiarezza. Non dobbiamo aver paura di manifestare l’uno all’altro quelle che sembrano le deficienze fraterne, i difetti e magari i peccati. La correzione fraterna è uno degli obblighi più precisi e più gravi della carità. Un’anima che per falsa carità non volesse correggere il proprio fratello già per questo medesimo fatto si separerebbe da lui; e un’anima che non volesse accettare la correzione, per questo medesimo fatto non avrebbe quella carità che è anche umiltà, quella carità che non ha nulla da difendere, quella carità che importa precisamente un superamento di ogni orgoglio, che è l’orgoglio che ci chiude, che è l’orgoglio che ci difende.
Uno dei difetti fondamentali della Comunità mi sembra che sia questo: non ci si può correggere a vicenda, non ci si può dire l’uno all’altro: guarda, in questo fai male, guarda in questo devi smettere. Non lasciate che debba essere sempre il superiore a intervenire nel correggere. La correzione del superiore indubbiamente non è scusa, ma è l’ “ultima ratio”. Anche nel Vangelo si dice: prima di tutto correggi il tuo fratello nel segreto e se il tuo fratello non ti ascolterà vai allora dalla Chiesa. Prima di tutto l’esercizio di questa carità fraterna che importa un’unità vera, reale, esige una correzione fraterna semplice, cordiale, veramente umile e sincera fra noi. Tutti abbiamo difetti: non dobbiamo pretendere che gli altri non li riconoscano. Anzi, quanto dovremmo ringraziare Dio che gli altri riconoscano i difetti nostri e loro stessi ce li manifestino, loro stessi ce li dicano! Perché ai nostri medesimi occhi molto spesso (siamo così miseri!) i nostri difetti si ammantano di speciosi pretesti per essere giustificati. Non siamo così suscettibili, non siamo così ipersensibili da non sopportare un richiamo fraterno! Credo che la carità che ci unisce si debba provare massimamente da questo.
Perché come si può dire di amare veramente i nostri fratelli quando, riconoscendo in loro qualcosa che può essere difettoso, noi non procuriamo con la nostra preghiera prima, ma anche col nostro aiuto, col nostro consiglio, con la nostra correzione, di richiamare il fratello su questi difetti perché egli possa liberarsene?
Sia però la nostra correzione tale che non dimostri in noi saccenteria od orgoglio, che non dimostri in noi la pretesa di vedere sempre bene, non ci metta al di sopra degli altri. Noi, anche se possiamo correggere, sentiamoci a nostra volta più difettosi di coloro che correggiamo, così da saper accettare noi stessi il richiamo dei fratelli. Siamo cioè veramente un cuor solo ed un’anima sola. Proprio per questo la correzione fraterna è un grande bene, perché non importa che chi corregge si ponga su un piedistallo più alto di colui che è corretto, ma veramente in questa correzione si esercita una carità che pone tutti sul medesimo piano che è espressione di una medesima vita. Proprio per questo la correzione fraterna è superiore, in efficacia e con prova di amore, alla correzione che deve fare il superiore, il padre o la madre, perché la correzione che fa il padre o la madre necessariamente riveste un altro carattere: è una correzione che suppone non una maggiore virtù nel superiore, ma suppone però una responsabilità maggiore ed esige da parte di chi è corretto una maggiore umiltà.
Ecco, vi chiedo questo, miei cari figlioli. Mi sembra che sia molto importante. Il tacere, il non volere toccare gli altri per la paura che gli altri mettano fuori – come il riccio – le spine, è segno che effettivamente la Comunità non esiste. Non vi è ancora una vera unità di amore fra noi. L’ipersensibilità di coloro che si sentono offesi, che si sentono turbati da un richiamo, è indice in fondo che queste anime si difendono contro l’amore, non vivono una medesima vita con gli altri.
Quanto dobbiamo ringraziare Dio che non siamo soltanto noi a vedere noi stessi, a esaminare noi stessi! Ma l’esame della nostra vita è fatto da cento persone che appartengono alla Comunità e sotto gli occhi delle quali si svolge la nostra vita! Quanto siamo fortunati proprio per questo! Perché, è certo, è più facile che non sfugga nulla a duecento occhi mentre è molto facile che ci sfuggano ai nostri occhi tanti difetti, perché noi tutti siamo pieni di amor proprio e cerchiamo di velare, di nascondere a noi stessi i veri motivi del nostro operare, specialmente quando questi motivi sono motivi che indicano in noi una imperfezione reale.
Chiarezza! Umiltà! Cerchiamo di essere ruvidi gli uni con gli altri: che sia veramente l’amore, un amore umile e sincero quello che ci rende aperti e più chiari. Sarà prova di vera umiltà e di vera carità se noi arriveremo a vivere questa correzione fraterna in semplicità di amore. Il risentimento, la reazione immediata di chi si sente corretto e che a sua volta condanna può essere veramente anche questo indice di quanto sia povera la virtù e la pietà dell’anima stessa. E quante sono le anime che magari credono di andare in estasi e non possono essere corrette, richiamate anche in un solo punto senza immediatamente reagire, se non esteriormente (perché hanno una bella cura di non manifestarsi quali sono) almeno interiormente, col sentire un certo risentimento verso colui o colei che l’ha richiamato!
Umiltà vera, sincera, dolcezza di rapporti fraterni. Vorrei proprio che quest’anno che incomincia facesse cadere tutte le pareti che ci nascondono gli uni agli altri, tutte le difese del nostro egoismo e del nostro orgoglio che ci impediscono di essere gli uni agli altri chiari, manifesti, aperti, come agli occhi di Dio.
Ecco, figliole, quello che mi aspetto da voi. Ecco quello che mi sembra che il Signore ci chieda. È una cosa, in fondo, che tutti sentiamo che doveva essere, ma abbiamo fatto ben poco perché in realtà esistesse quest’apertura, questa chiarezza di rapporti.
Adunanza del 6 settembre 1959 a Firenze