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Dio è veramente presente quaggiù: non si può dire che il mondo sia vuoto di Dio, non si può dire che la vita degli uomini sia il silenzio di Dio, non si può dire che Dio è scomparso e non è più presente nel mondo. Se non fosse presente nel mondo, già il mondo si sarebbe trasformato nell’inferno; l’inferno non è altro che questo. E difatti è certo e vero anche questo, che nella misura che noi non crediamo già il mondo diviene l’immagine dell’inferno di domani, perché è vero che siamo già in paradiso, ma si può dire anche che siamo già nell’inferno. L’inferno e il paradiso non sono aldilà, sono già ora: nella misura che tu non credi, nella misura che Dio già ora non si comunica a te, diviene per te veramente non più rivelato, tu sei già all’inferno (…).

L’inferno è già qui, come è qui il paradiso. La morte non porta nessun cambiamento essenziale, tranne questo: il compimento di un’esperienza. Oggi sul piano ontologico siamo quello che saremo domani; sul piano sperimentale, oggi, la mia esperienza di essere in paradiso è minima, così come è minima la mia esperienza di essere all’inferno. Tuttavia anche questo dobbiamo dire: non è vero affatto che l’essere cristiano nella vita presente sia soltanto un fatto ontologico e non anche sperimentale. Vi è un’esperienza cristiana e vi è un’esperienza anche dell’inferno quaggiù. (…) Anche sul piano sperimentale c’è già un certo senso dell’immutabilità dell’essere, c’è un certo senso della pienezza dell’essere; la pace. C’è un certo senso della gioia di essere amati, per te cristiano. Lo stesso è anche di questo essere nell’inferno che è proprio di colui che rifiuta la fede, di colui che non vuol vedere più Dio, di colui per il quale Dio ritorna a non essere rivelato: quest’uomo non perde forse il significato della vita? Può cercare di ubriacarsi, può cercare di affogarsi nelle donne, nei piaceri, in tutto quello che volete; ogni sua angoscia però nel fondo rimane. Egli sente che la sua vita è sospesa nel vuoto, sente che la sua vita non ha nessun senso, sente l’assurdità dell’esistenza. Per me gli scritti più religiosi oggi – anche più religiosi di quelli di Paolo VI – sono gli scritti di Samuel Beckett: non perché sia cristiano, ma perché ci dice questa esperienza dell’inferno dell’uomo contemporaneo. Avete presente in “Giorni felici” la donna prosperosa che viene riassorbita come dalle sabbie mobili? E lei canta e dice: “Oh, com’è bella la luce”. Prega, e nessuno risponde. La vita umana non ha senso, e tu, ubriaco, non te ne rendi conto e intanto affondi: l’inferno.

Inferno e paradiso non sono realtà del tutto escatologiche; sono sì escatologiche, ma non sono realtà che sono future perché l’escatologia già è anticipata. Con il Cristo l’ultima età è venuta, se noi siamo cristiani. E non lo siamo altrimenti; se noi siamo cristiani noi crediamo che col Cristo si sono adempiute le promesse di Dio. Ora, se si sono adempiute le promesse di Dio, già dunque l’umanità è stabilita nel piano ultimo e il piano ultimo è uno solo: il cielo e l’inferno, cioè il vuoto di Dio, ormai totale, o invece la presenza di Dio. (…). L’uomo che non vede più Dio e vive già il vuoto, lo vive in anticipazione, e vive già la sua condanna, la vive in anticipazione, in un’anticipazione reale.

L’inferno e il paradiso non sono di domani, sono di oggi.

Dal ritiro tenuto a Bologna il 5 febbraio 1970