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In questo tempo di Passione la Chiesa ci chiede una cosa sola, vuole una cosa sola da noi: che prendiamo coscienza dell’attualità perenne del mistero del Cristo, della presenza sempre viva di Lui nella Chiesa. Non si tratta della commemorazione di un avvenimento lontano, non si tratta di eccitarci all’amore per uno che ci ha amato e ci ama ma è lontano da noi, è separato da noi dalla morte. È ben altra la presenza del Cristo, di quella che noi possiamo realizzare con coloro che sono trapassati. Coi trapassati di fatto, non realizziamo alcuna comunione se non attraverso Dio, si può parlare di una loro memoria, di un loro ricordo. Quando si parla del Cristo non si parla di ricordo, anche se Egli ha detto: ‘Quando fate questo, fatelo in memoria di Me’. Non si parla di un ricordo, anche se noi diciamo nella Messa “Unde et memores” (“Pertanto noi memori della tua morte ecc…”): non è un semplice ricordo. Il ricordo, che è un fatto puramente psicologico umano, non è che il mezzo per noi di entrare in comunione con la presenza reale, attuale, viva di Lui: Egli è fra noi! Dobbiamo avvertire la Sua presenza reale e viva attraverso la liturgia soprattutto, ma dobbiamo anche renderci conto che nel Cristianesimo tutto o alla liturgia prepara o dalla liturgia promana. Sicché praticamente il cristiano è chiamato a vivere una comunione continua con un Cristo reale e vivo. È questo che distingue il Cristianesimo, la nostra vita cristiana dall’esercizio di una perfezione morale. Non si tratta di esercitarci nelle virtù: si tratta di vivere un impegno di amore con una persona viva.

Quello che distingue il cattolico, quello che distingue il cristiano, non è che è santo, perfetto, buono, caritatevole, mortificato: è che è un amico del Cristo.

La grande novità è tutta qui: rapporto di amore, impegno di amore, comunione di amore, non di un amore che si alimenta di sé, fiamma immobile (come anche potremmo pensare), che brucia in se stessa. Si potrebbe anche pensare cioè ad uomini che, stimolati dal ricordo di un grande eroe, di un grande santo, sollecitati all’imitazione delle gesta di lui, si esaltano e cercano di vivere la sua stessa fiamma di amore, di amarlo, illudendosi di stabilire una comunione con un’ombra, con un ricordo. Questa può essere l’impressione che hanno coloro che non credono della nostra vita cristiana: che noi si viva soltanto una vita fittizia, una vita irreale. Di fatto questi uomini credono nella vita cristiana soltanto nella misura che la vita cristiana si identifica a un’alta moralità, all’esercizio delle virtù, ma il santo non sa nulla delle sue virtù. Il santo vive, dicevo prima, un rapporto reale: l’amore. Vive un rapporto personale con una persona vivente: è un amico, il santo. Chi vive una vita morale cerca la sua perfezione, chi ama il Cristo si dimentica di sé, non gli interessa d’essere santo, di esser perfetto, non gli interessa di far nulla: quello che vuole è conoscere Colui che ama, è vivere con Colui che ama, è vedere, toccare Colui che ama.

(…) La Chiesa non ci fa tante esortazioni, non ci chiama a nessuna virtù: ci pone di fronte a Lui che invita i discepoli a mangiare con Lui l’ultima Cena, ci invita ad entrare con Lui nella notte, nel giardino e a partecipare alla sua agonia, ci invita a salire con Lui il monte del Golgota, ci invita a contemplarLo nella sua Passione, ad ascoltare la sua preghiera, ci invita a riceverLo morto sulle nostre braccia, come la Vergine.

(…) Questo è vivere il mistero della Pasqua nel Cristianesimo! Già non era esercizio di moralità nemmeno la celebrazione della Pasqua per i Giudei, tanto meno lo è per noi cristiani. Se i Giudei vivevano la memoria di un avvenimento lontano di liberazione, la storia, tuttavia non vivevano ancora un rapporto di amore con una persona. Dio si manifestava attraverso una teofania in cui Egli rimaneva inafferrabile anche se dava qualche segno di una sua presenza. Qua, la Pasqua cristiana viene celebrata nella presenza di Lui che muore, nella presenza di Lui che risorge. Sempre viviamo la Pasqua ma quanto più dobbiamo vivere in questi giorni, questo contatto con Lui; amici, fratelli noi siamo, carne della sua carne, ossa delle sue ossa. Questo noi siamo: un cuor solo e soprattutto un corpo solo. A questo ci chiama la liturgia della Chiesa, a vivere una unione nuziale onde l’amore ci fonde in uno, ci fa vivere una medesima vita. Non per nulla è proprio con la sua Morte di Croce che Egli ha lavato la Sua Sposa e l’ha unita a Sé, lavata nel Suo Sangue, purificata nel Suo Sangue, per unirla a Sé nell’amore.

Viviamo il mistero della Pasqua come mistero di questa unione nuziale onde tutto riceviamo dal Cristo, onde in tutto ci ordiniamo a Lui, onde nell’amore noi diveniamo con Lui, veramente, un solo Spirito (…)”.

Adunanza del 4 aprile 1965 a Settignano (FI)