La Comunità è una; così dobbiamo realizzare sempre di più che siamo uno (…). Come dobbiamo sentirci uno per vivere questa unità! Quanti siamo in Comunità? Uno, siamo Cristo; se siamo due è già la fine della Comunità. La Comunità allora si può dire reale quando ha la percezione viva di questa unità in cui Dio la raccoglie. Certo, siamo anche trecento, perché l’unità di un solo corpo, di un solo spirito non esclude la distinzione delle persone. Se escludesse la distinzione delle persone, escluderebbe lo stesso amore.

L’unità ontologica, fondata sull’unità di natura, non esclude la distinzione delle persone, anzi in questa unità di natura le persone si affermano in quanto amano, si amano fra loro, in quanto le persone, sussistendo in questa natura una, vivono una relazione totale di amore all’altra persona, ed è proprio questo che realizza l’unità. Questo vuol dire che ciascuno di noi realizza la sua persona come relazione pura d’amore alle altre persone. Io non sono che un dono di amore per tutti voi: dovete mangiarmi a colazione, a mezzogiorno e a cena. Non so se sarò indigesto, ma dovete mangiarmi sempre, non dovete lasciarmi più nemmeno un minuto di tempo, un affetto solo, un pensiero solo che non sia per voi. Lo dicevo a Firenze: ho capito che io non devo evadere più dalla Comunità, nemmeno per essere amico di monsignor Bartoletti o del cardinale Pellegrino.

Io debbo vivere per la Comunità fino in fondo, fino all’ultima goccia di sangue, fino all’ultimo minuto della mia vita, senza sottrarvi più nulla perché io non sono che amore verso di voi: verso ciascuno in particolare, verso tutti in generale, senza escludere nulla. Tutto per voi, solo e unicamente per voi. Ma anche per voi è lo stesso! Altrettanto voi dovete vivere totalmente per gli altri, per tutti quelli della Comunità così da non sottrarre nulla. Essere a disposizione, essere totalmente mangiati l’uno dall’altro come ha fatto nostro Signore. Che cosa vuol dire per nostro Signore essere puro rapporto di amore agli uomini, Egli che è il Salvatore del mondo? Farsi pane per essere mangiato, e così ciascuno di noi dovrà farsi pane per essere mangiato. Non vivere che per donarsi, non vivere che il dono di sé agli altri e sentire che, quando non siamo mangiati, quello che ci rimane imputridisce, è perduto. Noi siamo soltanto se siamo amore; Dio è ed è l’Amore. Essere vuol dire amare; così noi non siamo, non realizziamo noi stessi come persone che in quanto siamo amore. Amore che è dono di noi stessi senza fine, senza misura, senza nulla trattenere per noi.

Questo certo ciascuno di voi lo deve vivere anche per i suoi, ma anche per la Comunità; proprio per questo io ho sempre detto che quando entra una madre, entrano anche i figlioli nella Comunità, che quando entra un marito entra la moglie, perché non possono dividersi! Il vostro dono al marito, il vostro dono ai figli è il modo di rispondere al vostro impegno religioso, non è più soltanto un fatto di natura; è veramente una risposta alla vostra Consacrazione e vi impegna a vivere questo dono totale di voi stessi a tutti coloro che Dio ha voluto una sola cosa con Lui nella Comunità, o attraverso la Comunità.

Esercizi spirituali a Brescia, 17-20 settembre 1970