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Due sono le feste che a noi sono particolarmente care, perché ci ricordano quello che soprattutto siamo chiamati a vivere in forza della nostra vocazione, se pure non l’abbiamo perduta: è una vocazione alla preghiera, all’intimità con Dio, alla contemplazione. Se noi avessimo fiducia nella grazia divina, ci sarebbe un po’ da vergognarci a parlare di queste cose.

Si parlava stamani dell’importanza che ha la memoria nella vita cristiana. Il “ricordo di Dio” (espressione cara a San Basilio Magno, che è in fondo il Dottore della vita contemplativa nell’Oriente, il maestro del monachesimo orientale) è precisamente questo lento essere investiti dalla presenza di Dio in noi, cosicché noi abbiamo coscienza precisamente di questa sua Presenza nella nostra vita. Bisogna che sempre più, sia pur lentamente, questa invasione di luce penetri in noi e ci trasformi, faccia sì che tutta la nostra vita sia un’adesione pura alla luce divina. Non si tratta di far grandi cose, anzi la vita contemplativa semplifica. Se ora dite tante preghiere ne direte meno, però direte una preghiera che investe tutta la vita, ed è, come diceva san Gregorio di Nissa, il “sentimento di Dio”: di Dio non come una presenza a noi estranea, non come una presenza contigua davanti a noi, ma come una Presenza che ci investe nell’intimo. Ci sentiamo posseduti da Lui, sentiamo che la sua presenza in noi ci trasforma, diveniamo come lo strumento della sua azione. Posseduti dal Signore, sentiamo che Egli vive attraverso le nostre potenze, pensa con la nostra intelligenza, ama col nostro cuore, opera con le nostre mani.

Fintanto che non viviamo questo non possiamo dire di vivere la nostra vocazione nella Comunità. Bisogna che veramente il Signore ci strappi a noi stessi ed Egli stesso viva in noi. Siamo un solo corpo con Lui e, se siamo un solo corpo con Lui, è Lui che deve vivere in noi. Le parole di san Paolo dovrebbero essere vere per ogni cristiano, ma debbono assolutamente esserlo per noi, se non vogliamo essere dei mentitori: «Vivo io ma non sono più io che vivo, è il Cristo che vive in me» (Gal 2, 20).

Ed è questo che dobbiamo chiedere ogni giorno al Signore. Pensate: riceviamo tutti i giorni la Comunione! Possibile? Ma noi giochiamo! Che possiamo dire della nostra vita? Che abbiamo giocato tutta la vita. Riceviamo il Signore tutti i giorni e ancora il Signore non ci ha trasformati in Sé! Oh, lo so bene che siamo delle povere creature, delle misere creature, ma so anche quanto questo dipende da noi, dal nostro poco impegno, dalla nostra scarsa volontà e soprattutto dal nostro orgoglio; crediamo di aver fatto tutto e ancora abbiamo da cominciare la vita cristiana. Meglio di noi sono i peccatori, i pubblici peccatori; non lo credete? Io lo credo. È mai possibile che noi si possa parlare di queste cose ed essere ancora così lontani dall’averle realizzate? (…).

Basterebbe davvero che Egli ci possedesse, basterebbe che noi ci abbandonassimo alla sua azione. Una cosa sola si impone: la docilità allo Spirito Santo. Perché vedete, miei cari fratelli, ha ragione il padre Lallemant quando dice che per paura di essere infelici noi scegliamo di essere infelici tutta la vita: abbiamo paura cioè di donarci a Dio. Proviamo un certo sgomento, vogliamo tenere il timone nelle nostre mani, vogliamo essere noi a guidare il nostro cammino, e così non ci doniamo a Dio, e così rimaniamo infelici. Credo infatti che nessuno di noi sia contento interamente di sé. Oh, certo, noi dobbiamo essere contenti di Dio, se non altro per averci sopportato fino ad oggi! Noi dobbiamo essere certo contenti di Dio, per il suo amore che mai ci ha sottratto; anche stasera ci chiama, anche stasera Egli ci dice: «Vuoi tu essere per me? Io sono tutto per te, io mi donerò tutto a te, e tu in cambio vuoi darmi te stesso?». Non possiamo certo non essere contenti di Dio, ma chi di noi può dire di essere contento di sé? Chi è contento di sé non può essere altro che un disgraziato! I santi, quanto più erano santi, tanto più sentivano l’infinita distanza che li separava da Dio. E noi?

Miei cari fratelli, non dobbiamo disanimarci. Che cosa chiediamo tutti i giorni nella preghiera di Sant’Efrem? «Liberaci dallo spirito di oziosità, dallo scoraggiamento»: è la seconda cosa che chiediamo. Prima di tutto l’oziosità, perché dobbiamo metterci d’impegno; non dobbiamo giocare, non dobbiamo dormire. Passano gli anni e dobbiamo impegnarci sul serio non soltanto ad ascoltare Dio, ma anche ad abbandonarci a Lui.

Poi lo scoraggiamento. Dio è l’onnipotenza: abbiamo perso tutti questi anni? Coraggio! Anche in meno di quattro anni Lui può farci santi.

Omelia per la festa della Trasfigurazione, 6 agosto 1984, Firenze