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«Ascolta». È la prima parola della Regola di san Benedetto, è la prima parola che Dio ti dice. Noi dobbiamo vivere in questo atteggiamento. Perciò a noi s’impone prima di tutto il silenzio, il raccoglimento; un’anima dissipata, un’anima che vive al di fuori, un’anima che è impedita di ascoltare è già nell’impossibilità di poter rispondere e perciò anche di poter compiere quello che Dio vuole da lei.

Se l’atteggiamento costante dell’anima è questo ascoltare, naturalmente questo ascoltare suppone come condizione un certo raccoglimento: bisogna fare in modo che le cose non ci leghino mai totalmente, mai il lavoro ci prenda così da renderci indisponibili a Dio. In alcuni momenti della nostra giornata può esser non presente il Signore, la presenza di Dio può offuscarsi perché il lavoro è tale da rendere molto difficile l’avere nello stesso tempo questa visione della divina presenza e l’impegno al lavoro; ma questo non toglie nulla alla santità dell’anima se essa rimane libera interiormente di fronte alle cose, se non si lascia totalmente prendere da quello che fa. Allora, se Dio parla, l’anima lo ascolta. Dio può anche lasciare una certa libertà all’anima perché possa applicarsi alle cose, ma se Egli parla, se prende Lui l’iniziativa di parlare, la trova disposta ad accoglierlo, pronta ad ascoltarlo.

È questa prontezza dell’anima ad ascoltare Dio, è questa disposizione di purezza, di semplicità, di umiltà e di abbandono che rende sempre possibile un incontro divino, un rapporto di amore.

Vedete, una mamma, se deve badare alla cucina, a rimettere la casa a posto… non è tanto presa dal lavoro che fa da non accorgersi se il bambino si sveglia o fa qualcosa che non va bene. Vedete dunque che c’è una certa disposizione dell’anima, una certa attenzione che noi dobbiamo mantenere anche durante il lavoro; nulla ci può dispensare da questa attenzione umile dell’anima, da questa disposizione interiore del cuore ad accogliere la divina parola.

E noi dobbiamo sempre ascoltare, e per ascoltare sempre dobbiamo mantenere questo raccoglimento, questo silenzio, silenzio che potrà essere più o meno grande secondo che Dio parla all’anima stessa e secondo anche la comunicazione che Dio fa di Sé all’anima. E voi dovete cercare di fare in modo che, pur lavorando, non siate mai totalmente presi da quel che fate.

Voi mi potete dire che io dovrei in questo caso portarvi fuori del vostro lavoro, e invece no: la Comunità vi manda a lavorare, vuole che quella continui a insegnare, l’altra rimanga nella tintoria, l’altra rimanga nell’assistenza Sociale. È la Comunità che vuole questo e voi dovete farlo, perché è l’obbedienza che vi manda lì. Ma se vi mando lì, io tuttavia non vi dispenso da questa attenzione. È difficile, certo, mantenere le due cose, ma è facile se amate. L’amore dà sempre all’anima questa possibilità interiore, questa possibilità di attendere a Colui che amiamo, anche durante il lavoro.

Certo, se a un certo punto noi amiamo il nostro lavoro più di Dio, il nostro lavoro ci prende tanto da renderci indisponibili, da totalmente distrarci da Lui. Allora ci vuole uno sforzo grande per ritornare al Signore. Ma se invece amiamo veramente il Signore, nulla potrà mai così occupare il cuore, nulla potrà mai totalmente legare l’anima nostra da renderla indisponibile se Dio ci parla.

Dal Ritiro a Firenze del 15 marzo 1959