(,..) Crediamolo anche in questo momento: Egli è nato ed è per noi. Abbiamo cantato all’inizio dell’Ufficio delle Letture: «Christus natus est nobis – Cristo è nato per noi». Per noi, per essere nostro! Non dubitiamo del dono di Dio! Certo, noi dobbiamo accogliere questo dono in un sentimento di profonda umiltà, nel sentimento cioè di una gratuità assoluta del dono divino, perché il dono di Dio non suppone in noi nessun merito, suppone soltanto il peccato. Egli è disceso precisamente per donarsi a noi peccatori. Quello che dice san Paolo a proposito dall’amore di Dio, che si manifesta nella morte di Cristo, è vero già nella nascita di Gesù: «In questo si prova l’amore di Dio per noi: che essendo noi peccatori, Egli è nato per noi» (Rm 5, 8). Non solo «è morto», dice san Paolo; anche «è nato». Tutto il prodigio, tutta l’immensa bontà di Dio che si manifesta nei misteri del Cristo, suppone in noi non virtù, non bontà, ma solo la miseria e il peccato.
Possiamo noi crederlo? Siamo così capaci di credere da superare la vergogna di sentirci ancora tutti contaminati dal male? Dobbiamo superare questa vergogna in una fede viva; dobbiamo cercare, non di riconoscere il nostro peccato, ma di riconoscere che immensamente più grande è la misericordia di Dio e, peccatori quali siamo, aprirci ad accogliere questo dono infinito di misericordia che Egli ci fa.
Sì, Lui stesso ce l’ha insegnato. Perché non credere alla sua parola? Non ha detto forse che dobbiamo saper perdonare, a imitazione di Dio, settanta volte sette (Mt 18, 22), cioè che ogni qualvolta l’anima si apre a Dio, Egli la colma di bene?
Che la nostra anima si apra in un sentimento vivo della propria povertà spirituale, della propria miseria, del proprio peccato, per accogliere questa misericordia infinita! (…) Oh, davvero un abisso immenso di amore è Dio verso l’uomo; veramente noi non potremo mai giudicare quanto grande sia la bontà che Egli ci porta, la misericordia che Egli ha verso di noi! Sembra così inconcepibile riuscire a crederla, che cerchiamo sempre di proporzionare la misericordia di Dio ai nostri pensieri. Sì, possiamo pensare che Dio sia buono, ma non riusciremo mai a pensare quanto Egli sia buono. La nostra intelligenza si rifiuta e, d’altra parte, non potrebbe la nostra intelligenza stendersi quanto si stende l’immensità di questa misericordia infinita.
Dobbiamo aprirci umilmente ad accogliere Dio che viene, dobbiamo veramente credere a questo amore. E nonostante l’esperienza delle nostre cadute, credere che Egli è tutto nostro, tutto per noi; che Egli non ci rifiuta nulla, che tutto quello che Egli è, è il suo dono di amore. Non le sue cose Egli ci dà, ci dona Se stesso. In nessun altro modo Egli avrebbe manifestato più chiaramente di voler essere Lui stesso la nostra ricchezza se non nascendo da noi, nascendo per noi.
Ecco il Natale, miei cari fratelli. Cerchiamo davvero di vivere questo mistero in una fede profonda, che ci doni di vivere la gioia del Natale pur vivendo sempre una vita di povertà, pur vivendo sempre una vita di umiltà e forse anche una vita di tante imperfezioni. Chiediamogli almeno che queste imperfezioni non siano pienamente volontarie e che la nostra miseria faccia sì che veramente a Lui solo risalga la lode, il riconoscimento della sua bontà infinita che si dona senza misura. E si dona anche a coloro che non meritano nulla, anche a coloro che a noi sembrerebbero divenire di giorno in giorno sempre più meritevoli di essere rifiutati da un amore che calcolasse, ma invece non sono rifiutati da un amore che non condanna alcuno, perché non conosce riserva.
Ecco, miei cari fratelli, quello che a noi stanotte dice il mistero di questo Natale.
Conclusione dell’Omelia della Messa di Natale, 24 dicembre 1984