Miei cari fratelli, è stolto pensare che l’amore cristiano debba volgersi al terzo mondo, se intanto si rifiuta alle persone che ci sono vicine. È la Provvidenza che determina come il nostro amore deve essere vissuto, volendo che alcune persone siano anche concretamente più legate a noi e altre ci siano più vicine. Questo non implica che io sia eternamente condizionato dalla vostra presenza, ma se io cerco di amare al di là della mia famiglia di sangue o della mia famiglia religiosa, per amare gli altri, io non amo.
È facile amare gli altri, perché gli altri non ci danno noia. Il mio amore fraterno potenzialmente non deve escludere nessuno, deve essere universale per sé, però rimane condizionato dalla mia stessa natura, dal luogo dove sono, dall’ambiente in cui vivo, dalle persone che il Signore mi mette vicino. E questo che cosa vuol dire per noi? Prima di tutto amarci fra noi. È quello che ci ha insegnato Gesù medesimo nel IV Vangelo: «Amatevi vicendevolmente» (Gv 13, 34), Egli dice, e lo dice a proposito dei suoi discepoli.
(…) Si è detto altre volte che l’amore cristiano, come l’amore di Dio, non solo è universale, ma è anche gratuito, senza motivo. Io debbo amare non perché l’altro mi ama, io debbo amare non perché l’altro mi odia; amo perché amo. Ma il mio amore non è mai un amore di reazione. Nietzsche non ha capito nulla dell’amore cristiano, quando ha detto che la morale cristiana è la morale degli schiavi, perché – diceva – i cristiani fanno come i cani, che ricevono un calcio dal padrone e gli leccano i piedi invece di morderlo. «Tu, se uno ti dà un calcio, dagliene cinque – diceva Nietzsche – così dimostri di essere uomo; questi cristiani sono soltanto degli schiavi». Non è vero; non perché il nostro amore non debba rivolgersi anche a chi ci odia, ma perché noi non amiamo perché siamo odiati e neppure perché siamo amati; amiamo già in precedenza. Il nostro amore precede l’altrui atto e per questo rimane gratuito. Amiamo. Non possiamo vivere un rapporto con gli altri che come atto di amore. Così anche Dio.
Però se l’amore cristiano è un amore gratuito, se è vero, non pretende una risposta ma l’attende. Se noi fossimo indifferenti, nemmeno ameremmo. Saremmo alla pari del padrone che dà al suo cane un tozzo di pane e lo manda via, non gli interessa poi nulla, se il cane ha riconoscenza per lui. Dio non può amarci così. E nemmeno noi possiamo amare così, pur dovendo noi amare di un amore disinteressato, perché il nostro amore, se è cristiano, crea la comunità e la comunità non si realizza che in quanto l’amore diviene vicendevole. Io non faccio dipendere il mio amore per voi dal fatto che voi rispondiate o meno al mio amore, però l’amore vero crea la comunità, cioè all’amore che io dono risponde l’amore dell’altro. «Amor che a nullo amato amar perdona» (Dante, Inferno V, 103) rimane vero anche nell’amore cristiano.
E anche nell’amore di Dio. È l’amore di Dio che fa i santi, ma i santi devono rispondere all’amore. È indifferente per Iddio che uno risponda al suo amore? No, perché Egli dona il paradiso a chi gli risponde, mentre chi glielo rifiuta non può andare in paradiso. E non già perché Dio lo condanna, ma perché, se rifiuta l’amore, non può nemmeno riceverlo. Noi siamo realmente amati solo nella misura che, accettando l’amore, rispondiamo all’amore.
Esercizi spirituali a La Verna, 3-10 agosto 1980