Come realizzare questa universalità, questa unità in noi di tutte quante le cose? Come vivere in noi la vita di tutto l’universo? (…) Dobbiamo avvicinarci agli uomini, alle creature, ai fenomeni della storia umana, a fenomeni umani di razze, di culture, di lavoro, con un’anima pronta ad accogliere, con un’anima fraterna, disposta all’amore (…).

Ora, una conoscenza di cose che almeno momentaneamente ci sono estranee, non si impone a noi soltanto in forza di un impegno religioso, si impone perché effettivamente la Provvidenza ci pone in rapporto con gli altri. La Provvidenza stessa s’incarica di saggiare la tua carità mettendoti in rapporto con persone a te estranee. Tu devi saperle accogliere, devi saperle capire, assumere in te. Andate per le strade? Che nessuno vi rimanga indifferente, che non siate soltanto degli spettatori di questo vano andare degli uomini; sappiate immedesimarvi a ciascuno che voi incontrate, con cui dovete trattare. Se sei a lavorare, le persone per le quali tu lavori non devono esser soltanto delle persone che ti danno poi un salario; devono essere per te veramente delle anime che tu assumi, di cui tu assumi la responsabilità, di cui tu cerchi di penetrare il mondo per inserirti nel loro cuore o perché essi si inseriscano in te. Superare insomma l’estraneità che la nostra mancanza di amore cerca sempre di opporre; cercar di superare quel senso di diffidenza e di difesa del nostro egoismo che ci mantiene estranei alle persone con le quali noi viviamo, con le quali noi dobbiamo trattare, che noi vediamo giorno per giorno.

Si vive spesso il nostro rapporto con gli altri con gentilezza, con discrezione, magari con bontà, ma senza questa partecipazione intima, in modo che tutta la tua gentilezza non solo non distrugge la estraneità, ma la rende ancora più fonda: tu non disturbi l’altro, l’altro non disturba te. Quant’é meglio litigare in modo davvero che gli altri entrino in te, che tu li debba digerire e gli altri debbano digerire te!

Conoscenza che importa precisamente questo fondersi insieme, questo prendersi l’un l’altro. Prima di tutto attuare questo con quelli con cui vivete insieme, vivere già con essi l’unità vera, questa conoscenza intima l’uno dell’altro; saper accettare a prendersi, saper entrare nell’anima degli altri, nella mentalità degli altri, vedere le cose con i loro occhi, amarle col loro medesimo cuore, soffrire della loro stessa sofferenza. Questo bisogna fare con quelli con cui viviamo: la Provvidenza ci ha intanto offerto questi, prima di allargare i nostri confini.

Prima, l’impegno è l’amore per quelli vicini a te, quelli che il Signore ti pone istante per istante accanto, presenti nella tua vita: i colleghi d’insegnamento, i bambini della scuola, i compagni di lavoro,… con questi creare l’unità. Poi andare più in là: anche con quelle persone con le quali occasionalmente siamo in rapporto, o anche semplicemente che incontriamo per le strade; pensate le intime pene, i problemi, i drammi che si celano in tanta gente che incontriamo per via! Ogni persona è un mondo, eppure questi mondi come spesso sono estranei l’uno all’altro! Qualche volta ci si pensa, ma con superficialità, tanto per pensarci; non avvertiamo queste ansie. Tante volte possiamo esser passati accanto a dei santi e non ce ne siamo accorti, o accanto a dei demoni e siamo rimasti indifferenti. Perché questo? Perché ci chiudiamo, ci difendiamo: come dobbiamo rimproverarci!

Ritiro a Firenze del 18 gennaio 1959